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Il sapere ci salva

Democrazia e scienza diventano inseparabili: l'una non può più fare a meno dell'altra

25/09/2019
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La Stampa

elena cattaneo
università di milano
Poter contare su esperti competenti e indipendenti in grado di supportare i decisori politici in tema di innovazione e ricerca in ambito scientifico e tecnologico è un'esigenza sempre più diffusa. Pensiamo al nostro recente passato: quanti deragliamenti e discussioni infondate si sarebbero potuti evitare? Quante volte maggiori competenze in ambito scientifico avrebbero potuto (e dovuto) aiutare la politica a legiferare meglio, proteggendo i cittadini e le risorse pubbliche? Xylella, Stamina, Ogm, vaccini, sperimentazione animale, divieti di derivazione di staminali embrionali, assegnazione arbitraria di fondi alla ricerca: è lungo il «rosario» delle scelte politiche che descrivono un Paese disancorato dalla scienza.
Nell'ultimo anno, però, anche come reazione al proliferare di fake news, tesi pseudoscientifiche, santoni del web, abbiamo visto formarsi gruppi di studiosi che hanno arricchito il dibattito pubblico di contenuti scientifici, con l'obiettivo comune di offrire al legislatore e ai cittadini esperienze, saperi, competenze e prove in ambiti e contesti differenti.
L'Italia dovrebbe dotarsi di «un Ufficio di consulenza e documentazione scientifica permanente e indipendente al servizio della democrazia», secondo i firmatari della petizione «Scienza in Parlamento», iniziativa indipendente promossa da un gruppo di ricercatori, studiosi e giornalisti. I promotori sostengono che «la disponibilità di informazioni scientifiche attendibili, coerenti e sistematiche è fondamentale come base per prendere decisioni equilibrate ed efficaci», in quanto «chi governa il Paese deve assumere decisioni che chiamano in causa la scienza e la tecnologia». La petizione invita quindi l'Italia a seguire l'esempio di quegli Stati (tanti), in Europa e nel mondo, che hanno portato la scienza direttamente al fianco dei decisori politici. In ambito parlamentare, tra il 2008 e il 2013, l'Italia ha conosciuto l'istituzione di un Comitato per la valutazione delle scelte scientifiche e tecnologiche («Vast»): replicare quell'esperienza, dandole un respiro bicamerale, potrebbe essere un buon punto di partenza.
«Sostenere la Scienza come valore universale di progresso dell'umanità»; non «tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza»; «implementare programmi capillari di informazione» e «adeguati finanziamenti pubblici» sono i punti cardine dell'appello del «Patto Trasversale per la Scienza» («Pts»), sottoscritto da studiosi, politici e cittadini, aperto a chiunque ne condivida le finalità.
Che «le leggi non debbano essere condizionate dal pregiudizio ideologico, non debbano essere indotte da reazioni emotive e non debbano essere finalizzate alla ricerca di facile consenso da parte del legislatore», ma al contrario debbano tener conto «delle evidenze scientifiche» è il convincimento espresso dai 400 firmatari del manifesto dell'associazione «Seta» (Scienze e Tecnologie per l'Agricoltura), che, seppur muovendosi in un ambito specifico, quello agrario, rivendicano lo stesso obiettivo delle altre iniziative citate: garantire che le decisioni pubbliche vengano prese alla luce delle evidenze scientifiche, promuovendo innovazione e ricerca contro ogni narrazione ideologica.
È poi recentissima la presentazione dell'appello «Salviamo la ricerca biomedica italiana», promosso sulla piattaforma Research4Life da un gruppo di ricercatori e premi Nobel, ma anche da Marco Tamietto e Luca Bonini, recentemente bersaglio di intimidazioni da parte di gruppi animalisti a causa di un progetto di ricerca che studia i problemi associati alla perdita della vista e che prevede una regolamentatissima fase di sperimentazione su macachi. «La sperimentazione animale - ricordano - ha reso possibili progressi medici rivoluzionari». Si rivolgono dunque alle istituzioni affinché agiscano nella direzione di un maggiore equilibrio tra la tensione etica nei confronti dei malati, della protezione degli animali e della stessa ricerca.
Ma, andando a ritroso, del futuro della ricerca in Italia già da 16 anni si occupa anche il «Gruppo 2003», composto da scienziati italiani che lavorano nel nostro Paese e figurano tra i ricercatori più citati. Tra le sue iniziative, la proposta, opportunamente reiterata e articolata nel tempo, di un'Agenzia della Ricerca sull'esempio, ben riuscito, di tutti gli altri Paesi europei (Grecia inclusa, che ha provveduto a istituirla nel 2016).
Al 2002 risale invece la nascita della «Associazione Luca Coscioni», che nella lotta civile e politica «per la libertà della ricerca scientifica» trova la sua ragione fondativa. Numerose le sue battaglie per la libertà: da quella referendaria per contrastare i divieti della Legge 40/2004 fino a quella odierna volta a promuovere presso le Nazioni Unite dibattiti relativi al dovere di proteggere e promuovere «il diritto alla scienza».
Queste e altre forme organizzate, non istituzionali, di attivismo di studiosi, comunicatori e cittadini che si impegnano, ciascuna con la propria peculiarità e capacità, ad incidere nel dibattito pubblico su materie che riguardano il progresso sono preziose per tutti noi. Specie quando assicurano una continuità d'azione oltre i - pur importanti - appelli pubblici.
Un governo che volesse realmente restituire centralità a istruzione, cultura e ricerca - oltre che alle regole per il finanziamento di quest'ultima - dovrebbe riconoscere ed interloquire con realtà che fanno tesoro delle evidenze scientifiche per alimentare il dibattito pubblico e disinnescare istanze, talvolta incendiarie, che piegano e deformano la realtà pur di affermare una particolare visione del mondo. La posta in gioco di politiche disancorate dalle evidenze, infatti, non si limita allo «scivolone» di un governo o un ministro, ma si riflette nella vita di tutti noi in termini di salute, libertà, diritti e benessere.
Senatrice a vita —


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