«Il rosso e il blu» visto da Camusso: chi merita è escluso
La Cgil arriva allo sciopero del 12 ottobre forte del recente successo alle elezioni delle Rsu, con consensi oltre il 33%, primo sindacato in tutti i comparti
Paolo Fallai
La domanda della ragazza sullo schermo arriva come uno schiaffo: «Ma noi che non ce la facciamo, siamo senza speranza?» Il suo è uno dei volti della IV F, la classe protagonista del film di Giuseppe Piccioni «Il rosso e il blu», tratto da un libro di Marco Lodoli, che non filtra la scuola dietro facili sociologie e non nasconde la voglia di speranza. Racconta il nervosismo e l'impotenza di una direttrice (Margherita Buy), il cinismo di un vecchio professore (Roberto Herlitzka) e le speranze di un supplente precario (Riccardo Scamarcio), ma sono i volti dei ragazzi a colpire lo sguardo di Susanna Camusso: «È un film che testimonia la rottura della relazione tra la funzione della scuola e la prospettiva».
La visione del film è l'unica pausa in una giornata lunghissima per il segretario della Cgil, a pochi giorni dallo sciopero della scuola fissato per il 12 ottobre. «È un'opera amara giocata sull'ironia: trasmette l'idea che si ha della scuola, non cosa sia realmente. Penso al personaggio del genitore che aggredisce il professore urlandogli "Pezzente, quanto guadagni?". È lo specchio di un Paese senza obiettivi. Con la separazione tra istruzione e formazione, quando mi sento dire che si può assolvere l'obbligo scolastico dentro l'apprendistato o quando i precari nascondono i titoli di studio per farsi assumere».
«Il mondo del lavoro — insiste Susanna Camusso — non considera l'istruzione una ricchezza. E non solo per una forma di classismo. Sono tutti effetti della frantumazione. È la meritocrazia intesa come esclusione, non come valorizzazione del migliore». Come la ragazza che alla fine del film rinuncia alla scuola: «È la marginalità di chi finisce per fare un "lavoretto". E mostra tutti i modelli di tanti anni di oggettivazione delle ragazze, vale il tuo corpo, non la tua testa». Nel film non c'è traccia dell'ora di religione, ma Susanna Camusso non ha dubbi: «Un paese che ha nelle classi percentuali significative di bambini che provengono da altre culture avrebbe il dovere di porsi il problema. Ci aiuterebbe nei confronti dei fondamentalismi, a capire le tante vicinanze che ci sono, le loro individualità».
La Cgil arriva allo sciopero del 12 ottobre forte del recente successo alle elezioni delle Rsu, con consensi oltre il 33%, primo sindacato in tutti i comparti. «I risultati sono figli di una battaglia in difesa della scuola pubblica, nazionale, laica che non andava tagliata. Vogliamo sapere qual è l'idea del sistema istruzione. Certo ci sono anche motivazioni sindacali, come il blocco della contrattazione. È un mondo che si sente marginalizzato, insegnanti poco pagati e precari che aspettano da 25 anni in un paese gerontocratico». Anche il concorso varato dal Ministero non convince: «Il tema vero è il blocco delle assunzioni "a prescindere", moltiplicando le posizioni precarie che non stanno nell'ordinamento e titoli che rendono tutto ambiguo. Qui si gioca sul destino di tanta gente. In una situazione normale un concorso per migliaia di posti sarebbe una gran notizia. Ma la situazione non è normale. Non c'è un'idea di corpo insegnante che risponda alle esigenze dell'istruzione e al numero degli alunni, ci sono solo le tabelline del ministero dell'economia. Questo provoca illusioni e ingiustizie».
Finisce il film, ma non le domande di Susanna Camusso: «Che fine ha fatto l'insegnamento della lingua straniera alle elementari? Che facciamo di quelli che insegnano da 15 anni e non hanno un posto? Che fine ha fatto l'accordo Gelmini sui 143 mila precari? Il contrasto all'abbandono scolastico è ancora una priorità?». «Il tema — conclude Susanna Camusso — è recuperare il senso della scuola come uno dei diritti fondamentali, in un momento in cui tutti parlano di società della conoscenza. Perché l'istruzione è la premessa dell'autonomia delle persone».
E la produttività su cui insiste il governo? «Che il problema esista è indubbio. Ma sembra che interessi solo quanto far lavorare di più e pagare meno. Produttività è anche un'istruzione carente, un trasporto pubblico che non funziona, una retribuzione media che scende. La verità è che se non ridiamo un po' di soldi ai lavoratori il paese si blocca. Se non si affronta il nodo della disuguaglianza: fiscale, di reddito, di opportunità, di formazione. Il paese non è ostile ai sacrifici, è rassegnato, ha paura e sta perdendo le energie per guardare al dopo».