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Il Riformista: Va in scena il venerdì nero di Palazzo Chigi

LA MONTALCINI ANNUNCIA IL NO ALLA FINANZIARIA

11/11/2006
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Il Riformista

CONFUSIONE. DI ETTORE COLOMBO

Ferrero vota contro il Tfr, governo diviso sul Mose, lite coi cattolici per le coppie di fatto

Come ogni venerdì, è giorno di consiglio dei ministri. E fatalmente a Palazzo Chigi è giorno di discussioni. Ma ieri anche di spaccature, e non poche. Con un copione che ha condotto a veti e controveti incrociati su quattro questioni scottanti: Tfr (il rifondarolo Ferrero ha votato contro); il Mose di Venezia (contrari Ferrero, Mussi e Pecoraro, astenuti Bianchi e Damiano, favorevoli gli altri venti ministri, con uno scatenatissimo Di Pietro in testa a difendere il progetto); tagli a università e ricerca (ieri Mussi ha definito «un azzardo sul futuro un massiccio definanziamento»); infine, le coppie di fatto. Tema su cui si è consumato uno scontro acceso, anche se meno visibile degli altri. Si tratta dell'avvenuto - alla fine all'unanimità - recepimento di una direttiva comunitaria, la 2004/38, che prevede il diritto dei cittadini dell'Unione, e dei loro familiari, di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri. Il nodo sta nella tipologia dei «familiari»: per quei Paesi che hanno adottato la legislazione che riconosce i Pacs, l'Unione europea prevede in questa categoria anche i conviventi. Una linea interpretativa a cui si sono opposti i ministri super-cattolici della Margherita - definiti dai loro avversari «i vaticanisti»: Bindi (Famiglia), Fioroni (Scuola) e il vicepremier Rutelli. A sostenere il provvedimento - oltre, naturalmente, alla Pollastrini, che lo ha presentato cercando, fino all'ultimo, una mediazione - sono stati Bonino (Politiche comunitarie), che ora canta vittoria, ma anche, e con vigore, Amato (Interni) e D'Alema (Esteri). Contando pure sull'appoggio del “tecnico” Padoa-Schioppa

E così, mentre un serafico Enrico Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, assicurava, nella conferenza stampa conclusiva, che il governo non porrà la questione di fiducia sulla legge Finanziaria, alla Camera, ai piani alti di palazzo Chigi gli animi non erano propriamente distesi. La riunione non è nemmeno cominciata che prende la parola il ministro alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero. Pur se costretto in serata a definire «infondate e del tutto fuori luogo le voci su una crisi di governo in atto», il suo niet mattutino sul Tfr e il progetto del Mose («non è nel programma») è stato secco e rotondo. Il decreto introduce il silenzio assenso sui fondi pensione e cambia la destinazione del trattamento di fine rapporto “inoptato” (spostandolo dalle imprese all'Inps).

Fin qui, le dolenti note del consiglio dei ministri. Ma il venerdì nero è proseguito anche lontano da Palazzo Chigi. All'indomani del grido d'allarme lanciato sui tagli alla ricerca dal presidente dei rettori Guido Trombetti e della lectio magistralis alla Sapienza del governatore Mario Draghi sul ruolo fondamentale dell'istruzione per la crescita di un Paese, il premio Nobel, ma soprattutto senatrice a vita, Rita Levi Montalcini ha annunciato il proprio no alla finanziaria. «Se rimarranno i tagli alla ricerca voterò no al Senato». In serata è giunta la risposta di Letta: «Faremo di tutto per venire incontro alle sue richieste». Come se fosse una questione personale. Per ora, comunque, quei soldi non ci sono e ieri Padoa-Schioppa ha rimarcato, con grande aplomb, che «le università italiane devono saper tagliare gli sprechi». Una nota positiva, però, c'è stata. Ieri, sul versante della sicurezza, il governo ha recuperato 232 milioni di euro, accontentando il ministro Amato (e i poliziotti). Restano, però, i tagli alle forze armate, sui quali ha fatto sentire la sua voce il solito De Gregorio, sempre più decisivo al Senato. Sempre a proposito di tagli (e di senatori), il «caso Pallaro» continua a tenere banco: i 14 milioni in più che la maggioranza gli ha scovato e inserito, alla Camera, con un emendamento ad hoc sarebbero vanificati da altri e contestuali 10 milioni di tagli.

Come se non bastesse, a intorbidare le acque di una giornata convulsa ci si è messa anche la discussione sulla legge elettorale. Bertinotti e Marini si sono detti d'accordo sulla necessità di una riforma: ma in quale direzione e con quali tempi, non si capisce. Di Pietro ha denunciato la presunta intenzione di spazzare via i piccoli partiti. Di preparare, insomma, «un'altra porcata». Ma anche l'Udeur ha sollevato dubbi e il capogruppo alla Camera Mauro Fabris ha concordato con l'azzurro Schifani sul fatto che l'approvazione di una nuova legge comporterebbe il ritorno alle urne. Il ministro Chiti avvierà una prima ricognizione sulla riforma con Unione e Cdl prima di Natale, ma l'impressione è che la discussione sarà subordinata al cammino del partito democratico. A proposito, dulcis in fundo, ieri sera Rutelli ha ribadito che lui nel Pse non entrerà mai.


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