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Il Riformista-Troppi gli atenei sempre scarsa la nostra ricerca

APPELLO 2 Troppi gli atenei sempre scarsa la nostra ricerca I fatti dimostrano che le valutazioni piuttosto critiche sullo stato attuale dell'università italiana hanno un fondamento. Un r...

22/04/2005
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Il Riformista

APPELLO 2
Troppi gli atenei sempre scarsa la nostra ricerca

I fatti dimostrano che le valutazioni piuttosto critiche sullo stato attuale dell'università italiana hanno un fondamento. Un recente sondaggio effettuato su 1.300 accademici di tutto il pianeta, poneva le nostre università agli ultimi posti delle graduatorie internazionali. Una seconda rilevazione sull'età del corpo insegnante in Italia, forniva una fotografia impietosa sull'incapacità del sistema scolastico di rinnovarsi e di attirare alla carriera scolastica i giovani talenti che escono dalle università. Dalla forza del sistema scolastico e dell'università, si possono misurare le ambizioni di un paese e la sua capacità di proiettarsi nel futuro. Uno dei problemi italiani risiede nell'attuale struttura dei redditi (che produce anche status) che tende a premiare troppo le professioni di relazione, a scapito delle professioni della ricerca e dell'insegnamento. Mi chiedo ad esempio perché mai un ricercatore di fisica nucleare debba guadagnare meno di un merchant banker. Dobbiamo cambiare approccio essendo consapevoli che la ricchezza del futuro passa dalla ricerca e dallo sviluppo. La nostra spesa in ricerca è cresciuta, grazie anche all'impegno del ministro Moratti nell'imporre l'università tra le priorità governative, fino a raggiungere una quota molto vicina a quella Usa (in percentuale rispetto al Pil). Ma il Pil italiano è pari a un decimo di quello americano. E l'effetto della spesa in R'S è stocastica, non statistica, cioè risponde alla leggi della probabilità, più che agli indicatori economici. Il Giappone ad esempio spende quasi il doppio degli americani per reggere la concorrenza. Se dovessimo essere davvero competitivi, la nostra spesa dovrebbe essere moltiplicata per quattro. Sul ritardo italiano negli investimenti in R'D si stratificano una serie di fattori, tra cui come ha sottolineato il ministro, la spesa dei "privati" in R'S e il sistema di trasferimento della conoscenza dalle università alle imprese.
Esistono in Italia ben 87 università diffuse sul territorio, nessuna delle quali però è in grado di competere con i grandi centri del sapere mondiale. Un numero abnorme che non risponde a una strategia nazionale ma piuttosto a una "diffusione assessorile" delle università secondo criteri di provinciale esuberanza, piuttosto che di efficienza. Per rendere il nostro sistema formativo più coerente con il modello d'innovazione dell'economia post moderna, riducendo così il gap tra ricerca e sistema produttivo, serve dunque lavorare su alcune direttrici strategiche:
1) Internazionalizzare i nostri centri d'eccellenza riconosciuti, grazie a joint venture con analoghe strutture straniere. 2) Dare vita a programmi di ricerca ad ampio respiro grazie all'utilizzo su larga scala della leva finanziaria, sulla quale gli intermediari finanziari sono perfettamente in grado di assistere le università, consentendo comunque un'amministrazione prudente delle risorse. 3) Aumentare il trasferimento della ricerca alle imprese. Le grandi università dovrebbero dedicarvi un buon numero di ricercatori, ad esempio creando dei hub dedicati, visto che le imprese stesse hanno interesse a questo "travaso di innovazione": come dimostra l'iniziativa di Banca Intesa con il Politecnico di Milano, per l'impresa un giudizio favorevole sulla sua capacità di innovare significa l'applicazione di condizioni competitive sul credito da parte delle banche. 4) Specializzare i campus universitari per filoni di attività che siano in grado di supportare la competitività del sistema paese, lavorando ad esempio sullo sviluppo delle tecnologie elettroniche e meccaniche, o sul filone delle fonti alternative di energia come il solare e il geotermico.
Poche grandi università di eccellenza, poli della rete su cui far circolare la produzione e lo sfruttamento della R'S, darebbero un impulso al sistema economico di questo paese ed eviterebbero una dispersione di risorse che non possiamo più permetterci. Recuperando la lezione sulle Università che ci proviene dal Medioevo, quando il sapere aveva una funzione comparabile all'attuale "economia della conoscenza", ossia strumento principale per la competitività di un paese.
di Gianfranco Imperatori


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