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Il Riformista-Lettera di Letizia Moratti

LETTERA. SULLA RIFORMA DEL SISTEMA EDUCATIVO NAZIONALE Così la scuola italiana smetterà di essere una scuola che funziona solo per i ricchi Come i percorsi di studi personalizzati faciliteranno l'...

10/03/2004
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Il Riformista

LETTERA. SULLA RIFORMA DEL SISTEMA EDUCATIVO NAZIONALE
Così la scuola italiana smetterà di essere una scuola che funziona solo per i ricchi
Come i percorsi di studi personalizzati faciliteranno l'ingresso nel mondo del lavoro

Caro direttore, la ringrazio per l'attenzione che il Riformista dedica costantemente alle vicende della scuola e dell'Università, che giustamente considera cruciali per il futuro del Paese. E anche per il sostegno con cui accompagna l'impresa di riforma in corso, né facile né scontata, soprattutto perché il piano del confronto in materia di istruzione nel nostro Paese è tuttora più ideologico che ideale, e non affronta le questioni del cambiamento a partire dalla realtà dei fatti.
La scuola italiana ha cessato, fin dagli anni '70, di essere fattore di mobilità sociale e di uguaglianza reale. Essa replica staticamente la struttura sociale del Paese. Tutti vi possono accedere, ma il figlio di genitori di bassa condizione sociale ha solo il 18% di possibilità di essere promosso fino ai 14 anni e solo il 2,7% di possibilità di laurearsi. Negli Usa il tasso di mobilità sociale (la possibilità di mutare la propria condizione di origine) è del 20%, in Italia solo il 6%. Ogni anno perdiamo 240.000 ragazzi, che escono dalla scuola senza qualifica, diploma, titolo, e a nulla o a poco è servito il tentativo di innalzare l'obbligo scolastico a 15 anni. Il dato di realtà sulla nostra scuola è dunque questo: essa registra - oltre a tanti casi di successo formativo - anche numerose esperienze di fallimento, soprattutto nella fascia dell'adolescenza, là dove lo scacco rischia di diventare una condizione irreversibile. Analisi condivise da più parti fin dall'inizio degli anni '90, confermate dai giudizi scaturiti da programmi di valutazione internazionali degli apprendimenti, infatti, purtroppo assegnano all'Italia una posizione attorno al 25° posto sui 32 Paesi dell'Ocse.
Tutto ciò accade non in una scuola "aziendalizzata" e "privatizzata", che alcuni vedono come vero traguardo finale delle attuali politiche scolastiche, ma nell'attuale scuola pubblica e di Stato.
Senza voler assumere atteggiamenti apocalittici e dando la giusta valenza all'impegno quotidiano di dirigenti e docenti ed alla ricchezza culturale e relazionale dell'attuale sistema dell'istruzione, siamo fermamente convinti che l'attuale assetto istituzionale e organizzativo abbia finito, senza volerlo, per dissipare tante risorse umane e professionali, oltre che economiche, generosamente profuse in questi anni. Dunque, nonostante il grande sviluppo quantitativo dell'istruzione, cui abbiamo assistito nel nostro Paese nel '900, e la tendenza all'universalizzazione dei titoli di studio, il nostro sistema scolastico non riesce a superare gli effetti della condizione sociale e famigliare di partenza sul successo formativo e, soprattutto, sulla qualificazione culturale e professionale (conseguimento di qualifiche professionali o titoli di studio) con riflessi negativi anche rispetto all'esercizio della cittadinanza attiva.
La riforma, intervenendo, in particolare, sull'estensione dei tempi che i cittadini dovranno dedicare alla prima istruzione e/o alla formazione professionale (fino ai 18 anni o 17 nel caso del conseguimento di una qualifica professionale), e sul conseguimento certo di competenze spendibili nel mercato del lavoro, traccia sicure traiettorie nelle politiche di valorizzazione del capitale umano considerate a livello internazionale la strategia per vincere le sfide del futuro e per favorire benessere e sviluppo nei singoli Paesi e nell'Unione europea. Infatti, investire nell'istruzione e nella formazione dei cittadini, di ogni cittadino, significa assicurare ad essi maggiore occupazione, maggiori livelli retributivi e quindi poter contare come Sistema Italia, su un patrimonio di conoscenze, abilità, capacità e competenze decisive per lo sviluppo economico, ma anche per la coesione sociale.
In questo senso, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, la personalizzazione dei percorsi e l'articolazione del secondo ciclo in due sistemi (liceale e di istruzione e formazione professionale), da noi introdotto riporta al centro dei percorsi formativi la persona, con i suoi bisogni e le sue aspettative.
La scuola autonoma diviene così il luogo dove si incontrano domanda e offerta educativa, nell'esclusivo interesse di personalizzare gli apprendimenti e garantirne efficacia; diventa, altresì, luogo dove si raccolgono il consenso e la condivisione dei valori della comunità civile di riferimento degli alunni e delle famiglie. La scuola autonoma, insomma, in un rinnovato sistema educativo, potrà e dovrà essere legittimata come istituzione educativa non più e non solo dal livello burocratico dello Stato, ma dalla società civile costituita dai genitori, dalla domanda formativa e di senso posta dagli studenti, dalle istituzioni presenti sul territorio, dal tessuto produttivo ed economico dello stesso.
Stiamo, dunque, lavorando per garantire ai nostri ragazzi la realizzazione personale, la cittadinanza attiva e l'occupabilità, il legame con il mondo del lavoro. Obiettivi che rafforzano la scelta di un secondo ciclo che comprenda due sistemi di pari dignità, il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e della formazione professionale. Si tratta di mettere i ragazzi nella condizione di poter realisticamente cercare e trovare un lavoro e una professione. Se non c'è il collegamento con l'occupabilità, ribadisco questo aspetto, la cittadinanza è dimezzata a priori.
Quella che intendiamo promuovere è, anche e soprattutto, una politica educativa che sposta il baricentro dei sistemi di istruzione dalle istituzioni alla persona. Finora, gli studenti e le loro famiglie dovevano adeguarsi all'uniformità dell'offerta scolastica e gli esiti del processo prescindevano dalle reali competenze acquisite dai ragazzi, dentro e fuori la scuola. Il fulcro di questa nuova politica educativa diviene, invece, una seria e consapevole politica del capitale umano, capace di soddisfare i bisogni specifici di istruzione e di formazione di ciascun cittadino, di ciascun giovane, sia che si tratti di giovani non qualificati, che devono essere supportati nel re-inserimento nel sistema dell'istruzione, sia di giovani ad alto potenziale, così come di giovani socialmente svantaggiati, qualificati ma inattivi, lavoratori a rischio, lavoratori medi, e persino élite trainante. È dunque una politica educativa che si basa sulla personalizzazione dei piani di studio, sul portfolio delle competenze e su Europass, il portfolio europeo che misura e certifica gli apprendimenti effettivi. Una scuola - quella prefigurata dalla riforma - che non si accontenta di dispensare titoli di studio, ma favorisce, documenta e certifica competenze riconosciute e spendibili nel mercato del lavoro, nazionale ed europeo. Per questo la Commissione europea ha riconosciuto che la nostra riforma è in piena sintonia con gli obiettivi strategici di Lisbona.
Non c'è spazio qui per andare oltre l'elenco delle sfide, ma so che il suo giornale continuerà a parlarne. E, soprattutto, a raccogliere con tenacia voci e ragioni a favore del cambiamento. Che non "esce dal cilindro" all'improvviso, ma è frutto di elaborazioni precedenti, di sperimentazioni sul campo, di generalizzazioni di buone pratiche, di confronti internazionali, soprattutto europei.
L'alternativa al declino della scuola italiana non è la conservazione dell'esistente, bensì il cambiamento; presentare ai giovani il passato come un traguardo conquistato, che il futuro può solo compromettere e mai migliorare tradirebbe il primo e più importante compito dell'educazione: la fiducia nel futuro e nelle possibilità di ciascuno di contribuirvi, con le proprie attitudini, inclinazioni, vocazioni e giuste aspirazioni, ma anche con i propri talenti, come anche da lei auspicato.
Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca


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