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Il Riformista-L'università sia più autonoma e responsabile La mia adesione convinta al Club dei Dodici

ATENEI 2. PERCHÉ SOTTOSCRIVO L'APPELLO. DI ALESSANDRO FINAZZI AGRÒ L'università sia più autonoma e responsabile La mia adesione convinta al Club dei Dodici Caro direttore, la mia adesi...

13/04/2005
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Il Riformista

ATENEI 2. PERCHÉ SOTTOSCRIVO L'APPELLO. DI ALESSANDRO FINAZZI AGRÒ
L'università sia più autonoma e responsabile La mia adesione convinta al Club dei Dodici

Caro direttore, la mia adesione al "Club dei Dodici" contro la politica del "no" sistematico è convinta e basata su una lunga esperienza universitaria in sedi e facoltà diverse. Aggiungo alcune considerazioni a sostegno della mia adesione che riguardano l'organizzazione dell'Università italiana.
I due modelli generali di governo del sistema universitario sono: il sistema centralistico-burocratico e il sistema delle autonomie. Nel primo caso lo Stato dovrebbe garantire che ogni Università, dalle Alpi al Lilibeo, fornisca agli studenti le stesse opportunità di formazione, rilasci un titolo di studio valido per tutto il territorio nazionale e, oggi, confrontabile per contenuti e valore con analoghi titoli rilasciati dall'Unione europea, impieghi professori e personale di ogni ordine e grado con caratteristiche tecniche e scientifiche omogenee e uguali stipendi, in modo tale da permettere la loro mobilità tra una sede e l'altra. Gli studenti, assimilati ai lavoratori, non dovrebbero pagare le tasse universitarie se non in modo simbolico, anzi dovrebbero essere ricompensati dal loro impegno con un salario.
Tale modello, in sé ottimale e in principio altamente auspicabile, avrebbe richiesto una politica di investimenti, di valutazione, e di lungimiranza, di cui non si è vista traccia fino a oggi, e in particolare da quando, in modo peraltro del tutto condivisibile, si è voluto metter fine alla università elitaria per favorire un più ampio accesso di giovani alla formazione superiore. È stata invece scelta la via più semplice: moltiplicare le sedi, i corsi, le cattedre ma quasi sempre con risorse ridotte o nulle. Le spinte localistiche hanno accentuato il fenomeno per cui oggi non esiste capoluogo di provincia che non abbia o stia per avere, una sede universitaria, spesso partendo dal falso assunto economico che sia meno costoso spostare un professore che un centinaio di studenti. In tal modo vi sono corsi universitari ospitati in scuole, cinematografi, austeri palazzi nobiliari ma senza biblioteche, laboratori, aule multimediali, spazi di supporto per gli studenti. I professori impegnati in tali sedi accettano i disagi risultanti per ottenere una promozione, ma subito premono per un ritorno alla sede di partenza o comunque per trasferirsi in una sede migliore; intanto spesso svolgono il proprio ruolo con scarso entusiasmo e scarsa partecipazione.
Nel modello autonomistico, ciascuna sede universitaria sceglie, entro alcuni limiti, il proprio modello di sviluppo, il proprio sistema di governo, gli obiettivi da realizzare, le alleanze da stabilire con il mondo esterno. Purtroppo tale modello, sulla carta vigente in Italia, avrebbe richiesto alcune premesse inderogabili: 1) certezza delle risorse disponibili, con proiezione pluriennale; 2) possibilità di scegliere docenti e studenti secondo criteri autonomi; 3) chiarezza degli obiettivi da perseguire rispetto a standard nazionali e internazionali prefissati.
La situazione attuale del sistema universitario è un mostruoso ibrido dei due modelli citati. Infatti le Università hanno sulla carta autonomia organizzativa e contabile ma con le seguenti anomalie. Primo, le Università hanno nozione certa del finanziamento annuale verso la metà di giugno di ciascun anno; intanto devono entro il dicembre precedente approvare un bilancio di previsione (?) che per legge deve essere in pareggio. Secondo, la determinazione delle tasse degli studenti è fatta da ciascun Ateneo, ma secondo rigide norme, spesso astruse, figlie della "incertezza" fiscale nazionale; comunque le tasse non devono superare, nel loro complesso, il 15 % del finanziamento totale, che come detto sopra non è noto preventivamente. Terzo, il monte stipendi non può (giustamente!) superare il 90% del finanziamento statale, però gli stipendi dei professori e il contratto nazionale di lavoro degli altri dipendenti universitari sono decisi altrove, ma non automaticamente compensati da corrispondenti aumenti del finanziamento. Quest'ultimo infernale meccanismo ha devastato negli ultimi anni le finanze degli Atenei. Quarto, il sistema universitario è stato soggetto di una serie di riforme didattiche assai impegnative ma a "costo zero" ed è bombardato da una serie di regole e norme spesso contraddittorie.
Governo e Parlamento si accingono a varare una ulteriore riforma universitaria: ovviamente è nel loro diritto di disegnare un nuovo assetto del sistema. Dovrebbero però coerentemente scegliere se privilegiare il modello centralistico o quello autonomistico: se fosse il secondo, come auspico, si dovrebbero attentamente valutare le seguenti considerazioni.
Non è possibile sostenere un sistema universitario che conta oltre settanta atenei sparsi in un numero di sedi più che triplo senza un investimento colossale; in alternativa bisogna prendere atto, in centro e in periferia, che non tutte le Università possono fare tutto. Il percorso formativo attuale prevede tre livelli: laurea, laurea specialistica, dottorato: alcuni Atenei potrebbero differenziarsi per tipologia di corsi impartiti anche in funzione delle vocazioni del territorio. Ciò può essere determinato premiando quegli Atenei che dimostrino maggiore dinamicità in tal senso. Una simile innovazione richiede una seria valutazione sia da parte del ministero, sia da parte degli Atenei in cui spesso le ambizioni personali prevalgono sulle esigenze generali e sull'interesse degli studenti. È inoltre auspicabile che le carriere e il trattamento economico dei docenti siano più flessibili e ancorati a una periodica valutazione dalla attività didattica e scientifica. Sarà così possibile per Atenei piccoli o periferici attirare docenti di prestigio, riconoscendo loro condizioni particolari.

Rettore dell'Università di Roma "Tor Vergata"


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