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Il Riformista-I ricercatori italiani sono produttivi, la ricerca invece no

INNOVAZIONE 1. MOLTO SCARSE LE RISORSE, MA I POCHI ADDETTI OTTENGONO PIÙ RISULTATI DEI COLLEGHI AMERICANI DI FABRIZIO SPAGNA I ricercatori italiani sono produttivi, la ricerca invece no ...

12/04/2005
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Il Riformista

INNOVAZIONE 1. MOLTO SCARSE LE RISORSE, MA I POCHI ADDETTI OTTENGONO PIÙ RISULTATI DEI COLLEGHI AMERICANI DI FABRIZIO SPAGNA
I ricercatori italiani sono produttivi, la ricerca invece no

Il termine trasferimento tecnologico dovrebbe coniugarsi, almeno a livello teorico, con innovazione e sviluppo. La ricerca scientifica, quella per intenderci che si svolge nelle università e nelle accademie di tutto il mondo, deve essere una linfa vitale che alimenta continuamente il mondo delle imprese rendendole più competitive e creando nuovo sviluppo. E' questa, in sintesi, una delle ricette proposte da più parti, in particolare dalla nuova Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo, per far uscire l'Italia dalle paludi della stagnazione economica e per non farla soccombere sul fronte internazionale di fronte alla concorrenza agguerrita di Paesi come la Cina e l'India. Di fronte a una concorrenza di prezzo assolutamente non fronteggiabile, il nostro Paese deve rispondere con l'arma dell'innovazione.
In realtà è una strada che anche alcuni Enti Locali stanno cercando di perseguire per rilanciare il tessuto imprenditoriale presente nel loro territorio. E' il caso, ad esempio, della Provincia di Roma che già da due anni ha promosso l'istituzione di un centro di coordinamento per la ricerca e lo sviluppo portando a ragionare, attorno allo stesso tavolo, le Università, i centri di ricerca pubblici e privati, le Camere di Commercio e le grandi imprese. Anche in questo caso l'obiettivo è di puntare allo sviluppo economico e alla crescita della competitività del territorio attraverso specifici interventi finalizzati a sostenere l'innovazione e a favorire il trasferimento tecnologico.
Per tentare di capire quanto questo processo possa essere realmente virtuoso vanno però analizzati tutti i componenti della catena del valore. In primis la capacità di tradurre la ricerca in innovazione. Se consideriamo come strumento di misura le pubblicazioni scientifiche vediamo che nel periodo 1995-1999 l'Italia ha contribuito in media con il 3,6% delle pubblicazioni complessive a livello mondiale. Gli Stati Uniti hanno espresso, nello stesso periodo, una quota del 29% a fronte dell'8,4% del Giappone, l'8,1% del Regno Unito, il 7,5% di Germania e il 5,7% della Francia. Il nostro Paese si colloca al settimo posto di questa speciale classifica che però non tiene conto della struttura che ogni Paese deputa a questa attività. Se, infatti, si considera il numero di pubblicazioni per ricercatore - nel periodo 1996-1999 - l'Italia con il suo 1,5 si colloca tra i primi Paesi al mondo davanti a Stati Uniti (0,9), Germania (1,0) e Francia (1,1) e dietro solo a Regno Unito (1,7) e Olanda (2,0). Per quanto riguarda il nostro Paese la produzione scientifica è concentrata in un numero limitato di organizzazioni tra cui spiccano il Cnr e le Università di Milano e Roma La Sapienza. Di certo però le pubblicazioni scientifiche non possono essere l'unico strumento per misurare la nostra capacità di creare innovazione. Vanno analizzate, dunque, le domande di brevetto. Anche in questo caso le domande presentate dall'Italia nel 2000 hanno rappresentato appena il 3,6% del totale mondiale dei brevetti. Gli Stati Uniti, ancora una volta, sono al primo posto con il 26,6% seguiti da Germania (19,7%) e Giappone (18,6%). Ma se si considerano le domande di brevetto presentate nel 2000 ogni mille ricercatori delle imprese, l'Italia, con i suoi 148,9 brevetti, sale ai primi posti della classifica superata solo dall'Olanda (173,1) e la Svizzera (162,5) dove si concentra la ricerca farmaceutica. Questi numeri per quanto sintetici mostrano chiaramente come la produttività della ricerca italiana in termini di brevetti sia superiore alla media europea anche se il nostro Paese paga una esiguità strutturale delle risorse investite in ricerca e sviluppo e un generale sottodimensionamento della struttura scientifica e tecnologica.
Ma i brevetti sono solo il primo passo. Perché vi sia vero trasferimento tecnologico è importante che questi brevetti diventino nuove imprese o, al limite, contribuiscano a innovare i prodotti o i processi di imprese esistenti. Perché ciò accada è importante anzitutto che il mondo produttivo e il mondo della ricerca riescano a dialogare tra loro. Il ruolo degli Enti Locali sotto questo aspetto è fondamentale. Possiedono, infatti, le caratteristiche per diventare promotori di questo dialogo non diventando attori economici bensì ritagliandosi il ruolo di coordinatori di questo processo di osmosi tra ricerca e impresa.
Ma non basta. E' importante che le imprese in fase embrionale possano svilupparsi in un contesto normativo, fiscale, sindacale e finanziario adatto alle loro esigenze. Cosa che in Italia non avviene e dunque rischia di portare all'estero i benefici delle ricerca dei nostri cervelli. Anche quella fatta in Italia. Un fenomeno questo ben spiegato da Anna Gatti, "principal" di MyQube società internazionale dedita al Venture Capital con sedi a Milano, Ginevra e Cupertino, nella mitica Silicon Valley. Secondo Anna Gatti, infatti, le migliori idee di business ben difficilmente vengono sviluppate in Italia. Il più delle volte i ricercatori e le idee vengono trasferite in California e incubate in un ambiente ideale per farle diventare delle grandi imprese. La rete di venture capitalist esistente, il regime fiscale e sindacale e la facilità con cui si arriva alla Borsa rende Silicon Valley il posto ideale per poter far crescere nuove imprese e imprenditori soprattutto nel campo delle nuove tecnologie. Dunque se l'Italia non saprà non solo favorire la ricerca ma anche creare condizioni perché questa ricerca possa diventare impresa ben difficilmente si potrà assistere a un processo virtuoso di trasferimento tecnologico per lo sviluppo del nostro Paese. Vi sono già nuove realtà pronte a fare concorrenza a Silicon Valley. La Cina, ad esempio, non è solo un grande Paese con prezzi dei salari bassissimi ma è anche un luogo in cui si stanno costruendo spazi e strutture per incubare nuove idee. Idee che però mancano ancora e che l'Europa genera a un ritmo senza paragoni rispetto alle altre aree del mondo.


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