Il Politecnico cancella l’italiano A Milano l’inglese unica lingua
La “rivoluzione” dal 2014 nel biennio finale e nei dottorati per studenti e docenti
SARA RICOTTA VOZA
MILANO
Il processo di anglificazione dell’università italiana ha fatto il suo salto di qualità al Politecnico di Milano. Qui, dal 2014, «l’intera offerta formativa magistrale», vale a dire biennio finale e dottorati, saranno «erogati» in lingua inglese. Detto - ancora per poco - in italiano, significa che dopo il triennio di base non ci sarà più il «doppio binario» dei corsi nelle due lingue ma solo nell’inglese. Docenti e studenti hanno due anni di tempo per prepararsi, poi chi si iscriverà all’ateneo milanese saprà a che cosa va incontro.
In realtà chi studia al Politecnico sa che si tratta solo dell’accelerata finale di un processo di internazionalizzazione iniziato da qualche anno e fortemente voluto dal rettore Giovanni Azzone come «contributo alla crescita del Paese». «L’Italia può crescere solo se attrae intelligenze, visto che non può contare sulle materie prime», sostiene il rettore, che quindi si pone come obiettivo quello di «formare capitale umano di qualità in un contesto internazionale per rispondere sia alle esigenze delle imprese sia a quelle degli studenti che vogliono essere “spendibili” sul mercato del lavoro mondiale».
Il motivo di questa scelta radicale, dunque, sarebbe duplice: attrarre studenti stranieri di qualità interessati al nostro Paese ma che oggi non verrebbero per via della barriera linguistica; e attrezzare gli studenti italiani - soprattutto quelli che non avrebbero la possibilità di studiare all’estero - a lavorare (magari anche per aziende italiane) nel mondo.
A sentire il rettore, il riscontro da parte degli studenti, stranieri e italiani, è stato positivo. Quanto ai professori, il Senato accademico si sarebbe espresso per il sì a larghissima maggioranza. Le voci contrarie non mancano, ma questi due anni di transizione serviranno a tutti per prepararsi al transito. «Per i professori abbiamo attivato un piano formativo e chi ritiene di dover migliorare potrà farlo», spiega il rettore Azzone, «i nostri docenti sono abituati al contesto internazionale ma anche per me, come professore, so che sarà più faticoso insegnare in inglese che in italiano». Quanto agli studenti, il Politecnico studierà convenzioni vantaggiose perché i ragazzi possano approfondire la lingua durante il triennio.
L’investimento sarà importante: 3,2 milioni di euro per attrarre un corpo docente internazionale (15 professori, 30-35 post-doc, 120 visiting professor). Del resto, l’internazionalizzazione già avviata ha permesso al Politecnico di attrarre più studenti stranieri: dall’1,9% del 2004 sul totale degli iscritti, al 17,8 del 2011.
Questo sprint finale, però, ha spiazzato e sconcertato non poco molta parte del mondo accademico, e non solo quello dei cultori della «lingua di Dante»; anche se questi, ovviamente, sono i più preoccupati.
A fine mese l’Accademia della Crusca terrà una tavola rotonda sul quesito «Quali lingue per l’insegnamento universitario?» a cui parteciperanno intellettuali di estrazione non solo umanistica ma anche scientifica e giuridica. Una delle obiezioni più forti all’idea stessa dell’operazione è infatti che il passaggio totale da una lingua all’altra in ambito universitario si trasformi in sostanza in un «trapasso» per la lingua madre (soprattutto nell’ambito del sapere tecnico-scientifico), che avrebbe conseguenze negative anche nel processo della produzione del pensiero e della ricerca. Il linguista Tullio De Mauro, invece, ha contestato l’operazione sia per il fatto che coinvolge «un’intera facoltà», sia perché tutto questo avviene non in un’università privata, ma in quella pubblica. E, in cauda venenum: «Non aiuta a migliorare la conoscenza della lingua madre; e questo ha effetti negativi sull’intelligenza».
L’OBIETTIVO «Rispondiamo alle esigenze delle imprese e dei giovani che cercano lavoro sul mercato mondiale»
IL LINGUISTA Tullio De Mauro: «Iniziativa che non aiuta a conoscere meglio il nostro idioma»