Il pasticcio delle classi pollaio
La legge indica il numero minimo di alunni, non massimo. Un ordine del giorno del Pd impegna il governo a correre ai ripari. Ma servono risorse per farlo
Giorgio Candeloro
Un impegno a eliminare «i pollai». Il 31 ottobre scorso il Governo ha recepito alla Camera, durante la discussione sulla conversione del decreto 104 sull'istruzione, due ordini del giorno che lo impegnano ad assumere misure concrete di riduzione del sovraffollamento delle aule scolastiche e di miglioramento dell'offerta formativa.
I due documenti sono stati presentati dai deputati del Pd Cimbro, Moretti e Fioroni e hanno ottenuto il parere favorevole del ministro Carrozza. Si tratta in effetti di una questione importante per la vita della scuola, benché il semplice recepimento della proposta da parte del governo sia solo una dichiarazione di intenti e la promessa di impegnarsi ad inserire l'argomento in prossimi provvedimenti legislativi. Il problema, per essere risolto, richiede risorse, per finanziare le strutture e per incrementare il personale, risorse che al momento non ci sono. Il sovraffollamento provoca da anni polemiche e discussioni a non finire, con frequenti strascichi giudiziari, oltre a difficoltà organzizattive e didattiche.
La riforma Gelmini
Il decreto 81 del 2009 sulla riorganizzazione delle istituzioni scolastiche, fortemente voluto dall'allora ministro dell'istruzione Gelmini ha innalzato il numero di alunni per aula fino a 27 per le classi iniziali di scuola primaria, le ex elementari, 30 per quelle della secondaria di primo grado e 27 per le superiori. Sono inoltre previsti accorpamenti per le classi intermedie che scendono al di sotto di un numero minimo di alunni iscritti.
Cosa può fare il preside
Nella pratica cosa succede se un preside si trova ad avere un numero di iscritti superiore magari del 10 o del 20% al numero massimo previsto? Di sicuro non può costituire due classi più piccole, visto che il decreto Gelmini lo impedisce esplicitamente. Si trova allora di fronte a due possibilità: o indirizzare gli alunni verso altri istituti, rispettando così al tempo stesso il numero minimo e le norme di sicurezza sancite dalla legge, oppure, prassi assai più diffusa in tempi di concorrenza tra istituti, formare classi ben più numerose. Anche perché il decreto Gelmini fissa i numeri minimi ma non dice nulla sui massimi. In teoria insomma non si può fare una prima superiore con 26 alunni ma si può farla di 53, cioè il doppio meno uno di 27. Questa la genesi delle cosiddette «classi pollaio» secondo i firmatari dei due ordini del giorno, che infatti chiedono l'abolizione degli articoli del decreto 81 che fissano i numeri minimi e il ritorno alla situazione precedente al 2009, che consentiva la costituzione di classi anche molto più piccole. Del resto la battaglia contro il sovraffollamento delle aule scolastiche è uno dei leitmotiv di questo autunno della scuola italiana.
Class action e giudizi
Sulla questione pende, tra l'altro la minaccia di class action dell'Unione degli studenti, che si appellano alla norma sulla prevenzione incendi del Ministero dell'Interno, datata 1992, che prevede la presenza contemporanea nelle aule scolastiche di un massimo di 26 persone, docente compreso. Gli studenti medi dell'organizzazione vicina ai giovani del Pd minacciano inoltre di denunciare i presidi che sforano. Anche qualche pronuncia del tribunali amministrativi inizia a dar ragione a chi si oppone alle classi troppo piene, come nel caso di un ricorso vinto nella primavera scorsa dai genitori di una scuola elementare di Pontremoli, in provincia di Massa, contro la creazione di una prima da 30 bambini; il Tar della Toscana ha dato loro ragione, obbligando la scuola a sdoppiare la classe. Il clima generale sembra dunque favorevole quanto meno ad un allentamento dei vincoli numerici imposti dal decreto Gelmini. Resta da vedere se i costi dell'operazione, l'aumento del personale in primo luogo, saranno davvero sostenibili.