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Il ministro e i bulli in classe “Le famiglie la smettano di contestare sempre i prof”

La responsabile dell’Istruzione: “Pronti ad assumere i precari entro maggio, poi però si andrà in cattedra solo per concorso”. In estate via alla riforma degli atenei: ci sarà un contratto ad hoc, chi fa ricerca non è un impiegato pubblico

03/04/2015
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la Repubblica
«Il bullismo a scuola è un fenomeno allarmante. Ma molto possono fare le famiglie, che devono evitare il ruolo di censore pronto a puntare il dito contro chi insegna ». Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini interviene, durante il videoforum su Repubblica.it, nella polemica sull’aumento di episodi violenti nelle classi Ministro, perché cresce lo scontro in classe tra docenti e discenti?
«Perché si è rotto il patto educativo tra famiglia, insegnanti e studenti. Se sono i genitori a mettere in discussione l’insegnante, allora si fa dura. Il rispetto dei ruoli significa non mettere in discussione in maniera pretestuosa ciò che avviene in classe».
Il librone “La buona scuola” a settembre era stato accolto con speranza. Il disegno di legge “La buona scuola” a marzo è subissato dalle critiche.
«Le proteste di docenti, precari e sindacati contro il ddl sono una mezza verità. A settembre e durante la consultazione si sono discussi temi in forma propositiva, da perfezionare, ora siamo arrivati al progetto finale e si sono scelti i criteri».
I criteri lasciano fuori seimila idonei al concorso 2012 che a settembre erano assunti e 70 mila supplenti che quest’anno stanno insegnando.
«C’è un mondo che sta fuori dalle assunzioni e a pieno titolo può chiedersi perché, ma questo governo fa sul serio. Chiude un capitolo doloroso, quello del precariato, e riapre subito l’opportunità che ci si aspettava da anni: un concorso per 60mila posti disponibili, il quadruplo dell’ultimo. I numeri di chi resta fuori dobbiamo quantificarli. Alcuni precari della seconda fascia andranno su ruoli scoperti con contratti a tempo determinato da 36 mesi. Il Parlamento, comunque, dirà l’ultima parola».
Non avete rispettato diversi patti.
«Li abbiamo rispettati al dettaglio, invece. Con il nostro disegno di legge abbiamo eliminato anni di provvedimenti incongruenti, non vorrei dire di truffe, ma sicuramente di prese in giro. Noi assumiamo il precariato storico, 130 mila insegnanti. Centomila subito, 23mila delle scuole materne in seconda battuta. Realizziamo la Costituzione».
La Buona scuola ha spazzato via Tfa, Pas, ex Siss, Scienze della Formazione. Chi ha speso soldi e passato tirocini scopre che non è servito a nulla.
«Non possiamo bloccare tutto perché in passato sono state fatte cattive scelte. La Buona scuola supera questi istituti di formazione e fa partire la laurea abilitante. Chi ha diritti acquisiti avrà punteggi».
Il prossimo giugno “La buona scuola” sarà legge?
«Lo sarà a metà maggio».
E a settembre metterete centomila nuovi docenti in cattedra, avvierete le nuove materie?
«La struttura organizzativa è al lavoro, saremo in grado di fare lo sforzo. Sarà dura, ma siamo pronti».
L’intervento finale del premier Renzi sul disegno di legge ha complicato le cose?
«L’intervento del premier sulla Buona scuola è stato costante, il progetto lo abbiamo discusso fino alle ultime ore. Alcuni spunti di Renzi sono stati un’accelerazione sull’autonomia della scuola italiana, un arricchimento, non una prevaricazione».
La gran parte dei partecipanti al nostro videoforum su Repubblica.it non si fida dei poteri dei nuovi presidi. Marescialli, sceriffi, incompetenti sono le definizioni ricorrenti.
«Lasciamo gli sceriffi al western, il preside ora diventa un leader educativo. È un preside-rettore che si mette al servizio del suo mondo di appartenenza con strumenti e poteri che gli permettono di prendere decisioni. Dopo alcuni anni tornerà a fare l’insegnante, come nel resto d’Europa. I presidi, ricordo, saranno giudicati».
Ora parte la Buona Università.
«Sarà un anno costituente per gli atenei italiani. Siamo al lavoro da alcune settimane, in estate offriremo il progetto. Toglieremo l’università dal regime contrattuale della funzione pubblica per costruirle attorno un contratto proprio. Università e ricerca hanno regole e obiettivi specifici che non sono quelli del pubblico impiego».

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