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Il Messaggero-CATTEDRE E BANCHI BOLLENTI

da Il Messaggero CATTEDRE E BANCHI BOLLENTI di PAOLO POMBENI GLI 'Stati Generali" della Scuola a Roma: perché? La domanda è più che lecita in un contesto che, ci perdoni il ministro, non se...

18/12/2001
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Il Messaggero

da Il Messaggero

CATTEDRE E BANCHI BOLLENTI
di PAOLO POMBENI

GLI 'Stati Generali" della Scuola a Roma: perché? La domanda è più che lecita in un contesto che, ci perdoni il ministro, non sembra per niente chiaro. Previste a Foligno e fallite all'ultimo momento per intoppi frapposti dall'amministrazione locale, le giornate si svolgeranno nella capitale secondo l'andamento di una kermesse tipicamente post-moderna: metà dibattito sulla scienza pedagogica e metà spettacolo con esperti vari di comunicazione (forse perché questo, per i ministri, fa tanto 'società civile"...). E c'è da star sicuri che lo spettacolo non mancherà, in un contesto che ha una cinquantina di scuole occupate e che è un obiettivo ghiotto per la contestazione cosiddetta 'no global", già privata dell'occasione di farsi pubblicità col congresso della FAO rinviato a città e data da destinarsi.
Non ci si dica che è da parrucconi preoccuparsi per l'ordine pubblico: non fosse altro perché del disordine indotto da queste contestazioni pagano il conto i cittadini. Ma anche a voler lasciar perdere questa pur spinosa questione, rimane il fatto che non si vede bene quale strategia stia dietro a questa spettacolarizzazione dei progetti di riforma.
Almeno su temi delicati come sono gli adeguamenti ai tempi nuovi di un sistema complesso ed elefantiaco come quello dell'istruzione, converrebbe avere pazienza e diffondere la vecchia e buona cultura del contadino che sa che dopo avere seminato bisogna saper aspettare per raccogliere. Il cambiamento in un sistema gravato da mille mali e da mille problemi richiede tempo, convinzione e, vorremmo dire, 'conversione" degli operatori al nuovo; richiede elasticità nella sperimentazione e aggiustamenti in corso d'opera, richiede riduzione e prevenzione di tutti gli attriti ed i conflitti.
Difficile aspettarsi che questo accada in presenza di spettacolari contestazioni, di happening di vario tipo, di radicalizzazioni inevitabili dei pro e dei contro. Oltre tutto tenuto conto che il clima politico generale non è affatto quello di un civile ed aperto confronto fra le forze politiche, ma è piuttosto dominato da una voglia di esasperazione che punta alle ammucchiate sotto il sempiterno slogan 'il nemico dei miei nemici è comunque un mio buon amico". Si vedano le aperture da sinistra ai vari Casarini e Agnoletto (che Diliberto vuol mettere addirittura nell'Ulivo) o il fervore neoleghista di alcune componenti del centrodestra.
Si può capire che il decisionismo abbia un suo fascino e che la pressione di Berlusconi sui suoi ministri per avere in breve tempo risultati visibili e spendibili a livello di opinione pubblica giochi il suo ruolo. Forse c'è dietro anche una cultura superficialmente manageriale (in realtà i manager avvertiti sanno benissimo che è un errore strategico forzare le situazioni e non tenere il debito conto delle vischiosità e delle forze di attrito). Si potrebbe persino arrivare ad immaginare che ci sia un certo coraggio nel voler arrivare allo scontro aperto con la contestazione per costringerla a farsi contare e mostrare così che essa è minoritaria.
Tuttavia ci sono rischi altissimi in queste scelte. Il primo è ovviamente che tutto si tramuti in un boomerang, capace di rilanciare una contestazione oggettivamente minoritaria, ma che diventa l'unico attore visibile nell'apatia diffusa delle altre componenti (che del resto non hanno molti modi per farsi vedere e sentire, visto che non sono inclini al militantismo di piazza). Non parliamo poi del pericolo, che pure esiste, di scatenare le 'opposte piazze"... Il secondo rischio è che comunque una buona parte di quest'anno scolastico se ne vada nel rilancio della contestazione studentesca (e di una quota dei professori), che è oggetto di assidue e amorevoli cure da parte di tutti coloro che, dentro e fuori il sistema dei partiti, puntano sul cosiddetto 'antagonismo sociale". E allora si avrà un pessimo avvio del nuovo sistema, quando in queste cose, come si sa, è essenziale cominciare col piede giusto.
Infine vi è il problema centrale che dovrebbe assillare qualsiasi riformatore (ma chissà che non sia una specie estinta...). Le riforme hanno bisogno di consenso, di condivisione, perché implicano fatica, spirito di adeguamento spontaneo, sensazione diffusa della loro inevitabilità. Si veda quanto sta succedendo con l'euro, dove si è rispettato questo comune buon senso (non si tratta di altro) con risultati più che apprezzabili.
Tutto questo per la scuola vale, se possibile, ancor di più. Fa meno spettacolo, ma, ci creda il ministro, sui tempi lunghi dà buoni risultati.


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