Uno spettro si aggira per l’Italia ed aleggia grifagno sopra le Università della Repubblica. Si chiama “MERITO”. Nessuno sa bene cosa sia, ma tutti ne parlano come di un’entità misurabile e quantificabile: come le zampe del millepiedi. In suo nome impazza uno sport nazionale: denigrare l’Università, sede di nefandezze, dove il “Merito” è assente o vilipeso, dove imperano nepotismo, menefreghismo, dittatura dei baroni. In nome del “Merito” si è introdotta una burocratizzazione crescente e vari tipi di valutazione più o meno sensati, dai risultati spesso distorsivi. Ora in nome del “Merito” arrivano le Cattedre Natta. Con commissioni individuate e nominate dal Governo. È una plateale intrusione dell’esecutivo nella libertà della scienza e nell’autonomia dell’Università (art. 33 della Costituzione). Saprà il Parlamento, nel convertire in legge il decreto, ragionare non sull’onda degli slogan? Saprà il CUN esalare qualcosa in più di un gentil sospiretto? Saprà la CRUI difendere l’autonomia della scienza anziché mantenere un signorile understatement? O dovremo continuare a prostrarci davanti al simulacro di un “Merito” utile alla propaganda ma deteriore per la ricerca?
Uno spettro si aggira per l’Italia. Aleggia grifagno sopra le Università della Repubblica. Si chiama “MERITO”. Nessuno sa bene cosa sia, ma tutti ne parlano come di un’entità misurabile e quantificabile: come le zampe del millepiedi. In suo nome impazza uno sport nazionale: denigrare l’Università, sede di nefandezze, dove il “Merito” è assente o vilipeso, dove imperano nepotismo, menefreghismo, dittatura dei baroni. Per le Università sono invalsi sistemi di controllo punitivi, con burocratizzazione crescente e conseguente dispendio di tempo degli addetti, a danno della ricerca e della didattica. L’invocazione spasmodica dello spettro “Merito” comporta l’assoggettamento a vari tipi di valutazione più o meno sensati, dai risultati spesso distorsivi.
A pro del “Merito” sono state escogitate varie procedure. L’Abilitazione scientifica nazionale è una di queste. Spiego cos’è, per chi non lo sa. È un titolo che si ottiene superando un concorso nazionale: le commissioni sono formate da professori sorteggiati tra i “meritevoli”. Il candidato abilitato viene incluso in una lista da cui attingono le Università. Non subito, bensì mediante un ulteriore concorso, locale. Data la penuria dei finanziamenti – dunque dei posti – non si riuscirà mai a smaltire la lista degli abilitati, con disappunto dei colleghi insigniti di “una medaglia al valore” senza efficacia. Alcuni di loro, talvolta outsiders poco edotti dei meccanismi universitari, denunciano il tradimento del “Merito”; e i media propagano la litania dei baroni corrotti.
Ora, cosa fa il nostro governo per incentivare il “Merito”? Il Consiglio dei ministri ha istituito le “Cattedre del merito Natta” (Giulio Natta fu premio Nobel 1963 per la chimica): 500 cattedre per professori e ricercatori “eccellenti”, finanziate con 38 milioni di euro nel 2016, e 75 nel 2017. Gli assunti percepiranno dal 20 al 30% in più dei pari grado universitari. I “meritevoli” saranno scelti da 25 “commissioni formate da studiosi di alta qualificazione operanti nel campo della ricerca” (le discipline universitarie riconosciute sono circa 360).
Non tedio i lettori: dico solo che le commissioni saranno individuate e nominate dal Governo. È una plateale intrusione dell’esecutivo nella libertà della scienza e nell’autonomia dell’Università (art. 33 della Costituzione). Una perla. Cosa direbbero i magistrati se si emanasse un decreto simile per la Giustizia? Il reclutamento viene definito “speciale” giacché avviene in deroga alle disposizioni della legge 240/2010, che come ho detto vede nel possesso dell’ASN il requisito necessario per accedere al corpo accademico. Si potrà così dare il caso di chi, non avendo conseguito l’ASN, si ritrovi “meritevole” di cattedra Natta; o di chi, abilitato, resterà fuori (meno “meritevole”?). Il decreto prevede però anche che un abilitato possa vincere una cattedra Natta. In tal caso, se è già in servizio, dovrà spostarsi ad altra sede: da Palermo a Torino, da Venezia a Cagliari, ma anche da un ateneo all’altro della stessa città. Può darsi che talvolta ciò risulti vantaggioso per la crescita scientifica del Paese: un docente-ricercatore egregio può fare del bene anche lontano da casa. Ma non sarà così sempre e dovunque. Molti docenti di spicco dirigono gruppi di ricerca avviati in una certa Università: è davvero realistico per loro ripartire daccapo altrove?
Il Decreto è, senza mezzi termini, negativo. In primis per il presupposto: un’Università incapace di selezionare da sé il “Merito”, alla quale va impedito di agire liberamente, arrogandosi le scelte l’esecutivo. E poi, soprattutto, perché la scienza non può e non deve rispondere al potere esecutivo né legislativo: essa dispone dei propri meccanismi regolativi (di nuovo: art. 33 della Costituzione).
Il 4 novembre è pervenuto il parere del Consiglio di Stato, il supremo organo di consulenza giuridico-amministrativa. Fra i rilievi mossi al decreto vi è il mancato coinvolgimento delle Università, del CUN (il consiglio universitario nazionale, organo di autogoverno dei docenti universitari istituito per legge) e della CRUI (la conferenza dei rettori).
Saprà il Parlamento, nel convertire in legge il decreto, ragionare in base a dati obiettivi e non sull’onda degli slogan, o di un tornaconto elettoralistico? Saprà il CUN esalare qualcosa in più di un gentil sospiretto? Saprà la CRUI difendere l’autonomia della scienza anziché mantenere un signorile understatement? O dovremo continuare a prostrarci davanti al simulacro di un “Merito” utile alla propaganda ma deteriore per la ricerca?
[Apparso anche sul sito de Il Fatto Quotidiano]