Il Manifesto - Una riforma senza Letizia
Una riforma senza Letizia Legge delega sulla scuola. Intatta la scansione dei cicli, liquidato l'obbligo scolastico IAIA VANTAGGIATO Soddisfatto, sorridente e più trionfalista che mai Silvio Be...
Una riforma senza Letizia
Legge delega sulla scuola. Intatta la scansione dei cicli, liquidato l'obbligo scolastico IAIA VANTAGGIATO
Soddisfatto, sorridente e più trionfalista che mai Silvio Berlusconi annuncia che l'attesa delega sulla riforma della scuola è ormai un dato di fatto. Il governo l'ha decisa ieri, superando le ultime resistenze del Ccd-Cdu (che alla fine si è detto soddisfatto delle modifiche ottenute rispetto al testo originario ma contrario alla delega che è "un torto fatto al parlamento").
Torto o non torto, il Cavaliere non esita a definire la riforma "organica, strategica, di buon senso". Addirittura "la prima vera riforma dopo quella Gentile". Al suo fianco donna Letizia, esalta un testo che renderà la scuola "più libera ma anche più seria". E soprattutto più funzionale agli interessi delle aziende, come non si stancano di far capire il premier e la sua ministra, entrambi imprenditori per vocazione e professione.
La parola chiave, sottolinea infatti Berlusconi è "competizione". Una competizione che "è giusta e morale in tutti i settori, quindi anche in quello dell'istruzione". Competizione tra docenti, incentivata da "un premio agli insegnanti migliori, quelli che si applicheranno di più". E competizione, naturalmente, tra scuole pubbliche e private. Confindustria conferma. La sua approvazione è arrivata immediata, forte e sin troppo chiara. "La creazione di un sentiero formativo prfessionale - dichiara poetico Guido maria Barilla, delegato del presidente di Coindustria all'istruzione - consentirà a tutti quelli che sono più portati all'azione che alla riflessione di cimentarsi subiuto nelle attività produttive. Come eufemismo non c'è male.
Tutt'altro parere dalle parti dell'opposizione. Rifondazione comunista, per bocca del suo capogruppo Giordano, promette battaglia "in parlamento e nelle strade". Meno infiammato, l'ex ministro Berlinguer taglia corto sprezzante: "Molto rumore per nulla. Bastava dire che era annullata la riforma dell'Ulivo e che si torna al 1960".
In effetti la riforma lascia intatta l'attuale scansione dei cicli ma liquida definitivamente l'obbligo scolastico: cinque anni di elementari, tre di medie inferiori, cinque di liceo oppure quattro di formazione professionale. Tra le poche novità, la valutazione biennale del profitto a partire dalla medie inferiore e la possibilità di accedere in prima elementare a soli cinque anni e mezzo.
Nel tenersi ben stretta al suo dicastero - "Non tornerò mai in Rai" - anche Letizia Moratti difende il suo progetto di legge: si tratta di un sistema flessibile che consente in ogni momento il passaggio da un canale all'altro e, all'interno dello stesso canale, da una scuola all'altra. Un sistema per la verità talmente flessibile da ignorare qualsiasi riferimento all'obbligo scolastico. Infatti nellla legge non si fa riferimetno alcuno all'aumento obbligo scolastico, per il quale fa fede, ancora, il dettato costituzionali: otto anni e i giochi sono fatti. Si sceglie alla fine della terza media.
Durissime le reazioni dei sindacati confederali e tanto più dei cobas e della Gilda. Una vera controriforma, ha tuonato Enrico Panini della Cgil, che riporta indietro di decenni l'orologio del nostro paese, "quando studiare era un privilegio per pochi e lavorare precocemente una certezza per tanti". Concorda Alba Sasso (Ds): "Il governo ha dimostrato con chiarezza di considerare l'istruzione un privilegio. Sono lontanissime le politiche di riforma del centrosinistra, quelle che negli anni '60 scommettevano sulla formazione permanente, sulla possibilità di imparare , prima ancora di imparare a lavorare". Esulta invece la Confindustria: la formazione professionale arriva finalmente in serie A.
"La riforma - affermano i Cobas scuola - è solo il frutto di una mediazione politica fra le componenti interne alla maggioranza, che ha permesso al ministro di non essere sconfessata dai suoi stessi alleati. Tra i punti negativi l'anticipo a cinque anni dell'ingresso nelle elementari e la possibilità che le regioni abbiano competenza nella definizione dei programmi scolastici". Data la pocheza del topolino partorito dall'elefante Letizia, proprio sul ruolo delle regioni si è accentrata ieri buona parte della polemica. Ma il centrosinistra attacca per motivi opposti a quelli dei Cobas: le regioni, afferma, contano roppo poco. Per Adriana Buffardi, coordinatrioce degli assessori regionali all'istruzione, "l'importanza attribuita alle regioni è solo formale". E Di Menna (Uil-scuola) assicura invece che "la quota di programmi affidati alle regioni è un pasticcio: cosa rimane da decidere alle scuole?".
Ma il vero punto d'attrito tra le forze politiche resta il ricorso alla delega: un provvedimento già annunciato e presentato ieri dal governo come l'unico strumento capace di garantire "la necessaria copertura finanziaria" per l'attuazione della riforma. Secondo Panini, l'utilizzo della delega metterà "sotto sequestro" il dibattito e il confronto. Anche la Cisl punta il dito: una contraddizione plateale, altro che ricerca del massimo consenso politico e sociale. Durissimo anche il giudizio dello Snals secondo il quale la legge delega svuoterebbe del tutto il ruolo del Parlamento.
Moratti ha giurato, in conferenza stampa, che la delega "non è di principi ma molto precisa e articolata, già dettagliata. In concreto, donna Letizia garantisce che non ci saranno sorperse con i decreti. La delega, insomma, servirebbe "solo a garantire la copertura economica". Non è affatto escluso, invece, che qualche sopresa possa arrivare. Frutto di una estenuante mediazione fra i diversi inquilini della Casa delle libertà, infatti, la delega varata ieri serve soprattuto a permettere a Silvio Berlusconi di non chiudere con la confessione di essere finito nel vicolo cieco una delle partite più importanti del suo primo periodo di governo, quella della pubblica istruzione. Ma è difficile credere che la destra possa accontentarsi di una riforma che si limita a cancellare qualsiasi tentativo precedente di modenizzare la pubblica istruzione.