Il Manifesto-Moratti senza Letizia
Moratti senza Letizia Zuffe generali Protestano gli studenti invitati alla kermesse. Contro di loro intervengono le forze dell'ordine. La ministra sorride: "Anche questa è democrazia" IAIA VANTAGGI...
Moratti senza Letizia
Zuffe generali Protestano gli studenti invitati alla kermesse. Contro di loro intervengono le forze dell'ordine. La ministra sorride: "Anche questa è democrazia" IAIA VANTAGGIATO
Spintoni, ceffoni e gli ormai noti gomiti piantati nello sterno. Zittiti gli studenti, messa nell'impossibilità di lavorare la stampa. E' bastato poco per scatenare la reazione cinematografica dei gorilla vestitisi apposta per l'occasione. E' da ieri, poverini, che aspettavano di essere inquadrati dalle telecamere. Negli occhi - resi un po' vacui dall'eccesso di zelo - la delusione per non essere fuori dal Palazzo: insieme ai colleghi dello stato e pronti come loro ad affrontare - con caschi cavalli e scudi - la vera battaglia campale. Figurarsi la soddisfazione quando - salita sul podio Moratti - un gruppo di studenti si alza per protestare pacificamente. Poche parole, ma significative: "Resistenti alle privatizzazioni", "Non siamo in vendita". Gli piovono addosso come falchi, li trascinano via. Non sono no-global né disobbedienti: pazienza, è pur sempre un bottino di guerra.
Accorrono i giornalisti di tutte le testate e si frappongono tra studenti e polizia (privata o dello stato si fa fatica a intuire nella calca). Mani misteriose oscurano gli obiettivi delle macchine fotografiche, le telecamere vengono allontanate, i taccuini sono inservibili.
Alcuni studenti piangono, altri tremano. Abbiamo paura, dicono, ma pure continuano a gridare: "Gli studenti sono fuori, gli stati generali sono fuori": a gridarlo con rabbia non sono i temutissimi "rossi" scesi in piazza contro gli Stati generali ma quegli studenti "democraticamente" invitati alla grande kermesse di Lady Letizia. Che di certo ha pensato - col piglio sicuro della manager di successo - di averli ben bene selezionati. Nel rispetto della par condicio, per carità. Ci sarà voluto il bilancino ma i conti - per l'azienda - sembravano tornare: la parola è concessa (quasi) a tutti.
Ci sono i cattolici, l'azione studentesca vicina ad An (splendido il lapsus della sua rappresentante Giorgia Meloni, "Siamo a favore dell'autonomia operaia...scusate volevo dire scolastica"), i berluschini in giacca e cravatta di Alternativa studentesca e financo i terribili rappresentanti dell'Uds, organizzazione vicina agli ancor più temibili Ds: ha parlato per loro Giovanni Ricco. Va a braccio, critica, incalza, rivendica una scuola pubblica e laica. Dalla platea qualcuno gli urla sfottente di andare a studiare. Stile e buon gusto sono la cifra di questa kermesse. In realtà Ricco - insieme agli altre e alle altre studenti presenti - avrebbe molto da insegnare: scopriamo che si è maturato col massimo dei voti, studia fisica e ha la media del trenta. Quante delle signore qui presenti con volpi argentate o dei signori d'azzurro vestiti possono vantare lo stesso curriculum? Urla una insegnante mentre brandisce l'album di foto di casa Berlusconi (ricordate, quello con fiori, mamme e joggin spedito a tutta Italia sotto elezioni): "Questa è subcultura - sbotta al secondo giorno di tortura - noi insegnanti non permetteremo che questa riforma passi". E se ne va.
Non siamo diventati meritocratici ma le teste pensanti continuano ad affascinarci. Di meno quelle che ringraziano ministro, presidente del consiglio e governo tutto per la grande occasione offertagli: quale? Quale discussione reale c'è stata in questi due giorni di farsa carnevalesca? Quale confronto? Quale scambio? Certo abbiamo appreso dai bambini delle elementari come si confeziona il dolce tipico albanese e siamo grati alle studentesse di Cosenza per averci trasmesso le loro competenze in materia di coltivazione del baco da seta. Ma il Professor Bertagna ne terrà conto nella sua bozza di riforma? E la ministra può assicurarci di portare questi nuove acquisizioni in Parlamento?
Diciamolo chiaramente: gli unici ad aver creduto sul serio a questi stati generali sono stati proprio gli studenti che ieri li hanno contestati e che per questo sono stati malmenati. Per gli altri si è trattato di una passarella: inchini garbati e buone maniere. Re Sole chiama a Versailles i suoi cortigiani per controllarli meglio e togliere loro ogni potere reale.
I ragazzi la passerella l'hanno subita, educatamente, per quasi due giorni. Non hanno fischiato, non hanno interrotto nessun intervento né - a differenza di molti docenti e cosiddetti dirigenti - hanno sonnecchiato. Molti di loro non hanno esperienze politiche alle spalle eppure sono stati accusati di essere strumentalizzati. Gli abbiamo visti macerarsi, in questi due giorni: discutere tra loro, cercare soluzioni, mediazioni. Poi sono esplosi.
Tanti i detonatori.
La faccia congelata di donna Letizia che - con rude arroganza - ha creduto bastasse il suo materno sorriso per sedurli e manovrarli. "Anche questa è democrazia", ha dichiarato - sorriso forzato versione Crudelia Demon - mentre studenti e stampa venivano spintonati e costretti in un angolo. Cos'è, una presa in giro?
Il faccione di Berlusconi e il suo - questa volta paterno - sorriso. Evviva. La famiglia è riunita. Sotto l'amorevole ma sempre severo sguardo di mamma e papà gli studenti vengono allontanati e strattonati. Stasera sono stati cattivi, si va a letto senza cena.
Al Cavaliere tremano gli angoli della bocca ma siamo più o meno in diretta. Lo spettacolo deve continuare: mi consenta, signor ministro, di consegnarle il mio discorso. La musica, i rumori e "queste grida scomposte che non giovano alla democrazia" mi impediscono di leggerlo. Sorrisi.
Ma la vittoria è totale. Fuori una manifestazione gigantesca e pacifica che caschi e scudi servono solo a ripararsi dal freddo. Dentro la protesta degli studenti invitati, di alcuni genitori ed insegnanti, della stampa tutta.
Quasi dispiace: ma questo governo di grandi comunicatori ancora non riesce a bucare lo schermo. Eppure ci prova: accende i suoi riflettori su Genova ma la scena gli viene soffiata sotto il naso da centinaia di migliaia di "provocatori rossi". Ci riprova: e tenta di illuminare il piccolo auditorio di una fredda e ancora terremotata cittadina umbra. Insorge - sindaco in testa - la popolazione. Addio alla seconda scena. Tutto bene, nessun dissenso: vestiamo a festa il Palazzo dei Congressi. Fuori i rossi e che il paese possa assistere alla loro violenza e alla nostra democrazia.
Non ci resta che ringraziare i potenti mezzi del presidente del consiglio per aver mandato in diretta gli autogol