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Il Manifesto: Il caso Mele, censura e intimidazioni di regime

E' possibile, oggi, per i docenti, indire un collegio docenti per discutere degli effetti sulla propria scuola della riforma Gelmini? Pare di no.

12/09/2010
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il manifesto

SCUOLA

Giuseppe Caliceti
Siamo ormai arrivati a uno stadio avanzato dell'aziendalizzazione della scuola - ma sarebbe meglio parlare di «fascistizzazione». Per questo motivo, all'inizio di quest'anno scolastico, - ma anche alla fine del precedente - di fronte a una crescente insofferenza dei docenti, si assiste a un irrigidimento dei dirigenti scolastici nei confronti di chiunque manifesti perplessità nei confronti della riforma Gelmini. A proposito, emblematiche sono le parole del dirigente dell'Ufficio Scolastico Regionale dell'Emilia Romagna, Marcello Limina, nella sua tristemente famosa circolare del 27 aprile riguardante le Dichiarazioni a mezzo stampa del personale scolastico.
Con disarmante semplicità, Limina ricordava come la scuola fosse un'azienda e, chi lavora per un'azienda, non possa parlar male dell'azienda, pena sanzionamenti o peggio. Quello che avviene e sta avvenendo.
È una questione molto delicata. C'è in ballo non solo la libertà di insegnamento dei docenti, ma anche quella di opinione e di espressione di ogni cittadino. In questo quadro incandescente si inserisce la vicenda, iniziata lo scorso anno con strascichi che arrivano fino ad oggi, di Francesco Mele, professore dell'Istituto Meucci di Modena. Mele è stato «censurato» dal suo preside, Paolo Davoli, che gli ha vietato di parlare a scuola degli effetti negativi della Riforma. Mele ha reagito al divieto ricevuto telefonando e facendo intervenire a scuola, a sua difesa, la polizia. Il dirigente scolastico provinciale, Gino Malaguti, difende Davoli, che ha sanzionato Mele. Mele, a sua volta, presenta ricorso al Tribunale del lavoro, chiedendo l'annullamento della sanzione. E dichiara come non sia corretto affermare che la sua chiamata della polizia abbia interrotto il collegio docenti, perché la polizia è arrivata a riunione terminata e, come si legge nello stesso verbale del collegio, era stata sciolta dal preside, preso atto dell'impossibilità di continuare il collegio in quella situazione di rivolta.
Secondo il preside Malaguti, se il professor Mele avesse voluto redigere un documento sui problemi della riforma Gelmini, avrebbe dovuto convocare un'assemblea sindacale. Ma il nostro obiettivo di docenti era portare quegli argomenti in una sede istituzionale diversa, replica Mele, cioè nel collegio docenti. E il preside, secondo Mele, avrebbe negato ai docenti quell'opportunità, convocando un collegio alternativo, con un ordine del giorno diverso rispetto a quello richiesto dai docenti.
L'ordine del giorno di un collegio lo stabilisce il preside, ma solo in parte. La legge, infatti, stabilisce come un collegio possa essere anche autoconvocabile su richiesta di almeno 1/3 dei docenti. Sul caso Mele sono intervenuti, per difendere il professore sanzionato, l'onorevole Ghizzoni e la senatrice Bastico del Pd. Alcuni giorni fa, il 9 settembre, l'assemblea dei docenti della Flc/Cgil Scuola di Modena ha scritto a Limina e al ministro Gelmini: «Alzeremo la voce tutte le volte che i tagli ministeriali mascherati da riforme impediranno il funzionamento e la qualità della Scuola Pubblica, causandone il progressivo smantellamento, soprattutto a vantaggio degli istituti privati. Se la libera opinione e la difesa della Scuola Pubblica, due pilastri della nostra Repubblica democratica, sono considerati dall'Ufficio Scolastico Regionale comportamenti passibili di censura o sanzioni disciplinari, chiediamo di essere censurati e sanzionati, tutti e subito». I docenti si dichiarano «totalmente solidali» con gli otto insegnanti accusati di aver proposto al collegio docenti «un ordine del giorno che si occupasse degli urgenti e reali problemi della nostra scuola» perché «non hanno fatto altro che adempiere alla funzione docente e ai loro doveri professionali».


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