Il Manifesto - Distillati di libertà
Distillati di libertà Il Nonino premia quest'anno lo scrittore Norman Manea, Tzvetan Todorov , "maestro del nostro tempo", e il Progetto educativo per l'infanzia di Reggio Emilia GIANFRANCO CAPIT...
Distillati di libertà
Il Nonino premia quest'anno lo scrittore Norman Manea, Tzvetan Todorov , "maestro del nostro tempo", e il Progetto educativo per l'infanzia di Reggio Emilia
GIANFRANCO CAPITTA - PERCOTO (Udine)
Del premio Nonino si è detto quasi tutto: della sua straordinarietà nel panorama dei premi letterari italiani e non solo, dell'autorevolezza della sua giuria presieduta da Claudio Magris, del fatto che in qualche caso abbia preceduto il Nobel nel premiare scrittori come Rigoberta Menchù o V.S. Naipaul, della sua atmosfera confortevole e commovente, insomma del genio di Giannola e Benito Nonino (patrocinatori e padroni di casa) e della loro famiglia che continua a svilupparsi lungo una linea quasi tutta femminile.
Quest'anno c'era qualcosa di più, o di più esplicito, tra quei pranzi e quella grappa prelibata, mentre le fisarmoniche suonavano furlane e canzoni da ballo. Forse anche la coincidenza con la "giornata della memoria", insieme ai nomi e alle esperienze che hanno guadagnato il premio, hanno fatto di questo ventisettesimo appuntamento in casa Nonino un evento di quelli sempre meno frequenti. Un filo comune (e perfino certe caratteristiche biografiche, come migrazione e esilio) legano lo scrittore rumeno-americano Norman Manea e il franco-bulgaro Tzvetan Todorov. Il primo si è aggiudicato il riconoscimento per il 2002, per la sua scrittura e per la forza placida con cui racconta una vita vissuta dolorosamente, bambino in un campo di concentramento nazista, adulto represso dal regime della famiglia Ceausescu in Romania, oggi occhio critico sull'America dal Bard College dove insegna.
Todorov è stato designato "maestro del nostro tempo" non solo per i suoi meriti scientifici, ma per la passione e il rigore con cui dall'università parigina si sforza di capire e spiegare il mondo, i suoi totalitarismi e la crudeltà con cui spesso, anche da sponde apparentemente opposte, si accaniscono contro l'umanità. La sua è una visione della politica lucida e presente, che lo vede accusare senza cedimenti e senza argini possibili l'aggressività illusoria dell'occidente, la crudeltà dei suoi "interventi umanitari", la coscienza malcelata del suo accanimento sulle vittime civili, nei Balcani come in Afghanistan. Un premio meritatissimo certo, e però anche fortemente controcorrente, oggi.
Ma il premio più polemico contro il conformismo dilagante, nonostante il suo abito di letizia e creatività, è stato quello assegnato, come "maestro italiano del nostro tempo", al Progetto educativo per l'infanzia di Reggio Emilia. Una sorta di schiaffo, seppure mascherato da brindisi, alle frettolose e privatizzatrici pretese di riforma della Moratti, bloccate per altro dai suoi stessi alleati di governo. L'esperienza di Reggio Emilia fu riconosciuta la migliore del mondo, una decina d'anni fa, da una indagine accurata della rivista americana Newsweek, ma la riconferma di oggi serve non solo a segnalarne al continuità, ma anche a conoscere meglio una storia così affascinante.
E' scomparso da qualche anno il pedagogista Loris Malaguzzi, che dell'iniziativa fu il garante scientifico, colui che ha fissato per sempre nel rispetto innanzitutto della stessa infanzia la regola fondamentale dell'educazione, ma vivono ancora, insieme alle insegnanti di oggi (maestre ma anche artiste e musiciste) alcune delle madri e delle donne che alla scuola diedero origine.
Come Marta Lusardi, che ha raccontato come il primo sostegno finanziario fu ricavato dalla vendita di residuati bellici abbandonati dai tedeschi in fuga ("un carrarmato, dei cavalli..."), ma soprattutto ha fatto capire, con grande emozione, come quella scelta si collegasse alla politica del Cln; come su questo si concentrasse l'impegno della cooperazione riapparsa dopo l'oscuramento fascista. E come soprattutto quella della scuola sia stata una scelta imposta dalle donne come prima necessità della ricostruzione. Gli uomini pare fossero più dell'idea che si sarebbe potuto impiegare quello sforzo nella costruzione di un cinema. Una storia bellissima ed esemplare, che nella pratica quotidiana perde il suo romantico alone letterario, ma che certo meriterebbe oggi più di prima di essere ben raccontata proprio nelle scuole.