Il labirinto dell'esame di maturità
Messa in piedi da Gentile nel ‘23, la prova di fine ciclo è mutata più negli ultimi vent’anni che nei precedenti settanta.
Paolo di Paolo
Ciao maturando, sei molto in ansia? L’esame cambia; sarà un po’ diverso da come l’avevi messo a fuoco. I tuoi insegnanti sollevano dubbi: abbiamo fatto esercitare gli studenti sulle forme dell’articolo e del saggio breve per quattro anni, e ora? “Sguardo dei ragazzi attonito”, racconta una prof su Facebook. I cambiamenti in corsa disorientano.
Quando, nel ‘97, il ministro Berlinguer annunciò che il vecchio tema d’italiano andava in pensione, ero al primo anno di superiori: aiuto, pensai, è l’unica cosa che so fare. La “terza prova”, le commissioni fatte di interni, poi le commissioni miste: le novità passavano sulle nostre teste a ogni cambio di ministro. Messa in piedi da Gentile nel ‘23, la prova di fine ciclo è mutata più negli ultimi vent’anni che nei precedenti settanta. Ma stavolta chi attribuisce polemicamente la riforma al “governo del cambiamento” in carica, sbaglia. I lavori della commissione sono stati avviati dalla ministra Fedeli; il linguista Luca Serianni, che li ha guidati, ne ha spiegato su Repubblica lo spirito: valorizzare la capacità di condurre un ragionamento, di argomentare. Non andava bene il saggio breve? No, se rischiava di diventare “un collage acritico” dei numerosi brani proposti. Per l’analisi del testo letterario, gli autori saranno due; il tema storico salta. Qualche editorialista ha gridato allo scandalo: “Cancellata la storia”, come se si trattasse di un affronto alla memoria. Macché: le tracce per saggio breve e articolo hanno sempre proposto temi da contestualizzare storicamente; sarà così anche per il nuovo corso. Niente paura!
Sulla scuola — da fuori — si accaniscono i reazionari: non ci mettono piede da mezzo secolo, ma esaltano le predelle sotto la cattedra, i voti in condotta, il latino alle medie, alimentando la penosa retorica dei “giovani d’oggi” che non sanno, non capiscono. Eppure i “giovani d’oggi” c’erano anche ieri — vittime più o meno delle stesse valutazioni approssimative.
Addestrare un adolescente a impostare con coerenza un ragionamento c’entra poco con generiche (e retoriche) pretese da vecchi zii. Il lavoro più complesso è aiutare lo studente a vedere con chiarezza il proprio stesso pensiero su qualcosa, convincerlo che quel pensiero lo ha, può averlo. Mi fece quasi piangere di tenerezza un ragazzino che, durante un laboratorio di scrittura, mi guardava sconfortato: «Io ho la testa vuota!». Diceva di sé qualcosa di cui era stato convinto.
Saggio breve e articolo di giornale sono due generi da professionisti, ma non si entra a scuola per uscirne scrittori.
Aumentare la competenza nella comprensione di un testo e dunque della realtà, approdare a una conclusione partendo da premesse date, tutto questo ha a che vedere, sì, con l’essere cittadini. O quantomeno, col non essere cittadini di serie B, schiacciati dalla peggiore propaganda e disinformazione, resi subalterni da un uso subdolo del linguaggio. Per questo, il tema d’italiano — in qualunque modo vogliamo chiamarlo — non è un esercizio di bella scrittura o di creatività, non necessariamente. È l’occasione per mettere alla prova la competenza della lingua scritta, e dimostrare che la si maneggia con disinvoltura, che si è pronti ad andarsene per il mondo con un’indispensabile cassetta degli attrezzi — le parole — ordinata e non troppo sguarnita. D’altra parte, l’altro giorno, nel corso di una chat su Whatsapp organizzata da questo giornale con un gruppo di studenti, un ragazzo ha colto il punto: «Il vero problema, nella vita, è quando ti mancano le parole, è non sapersi esprimere». Eccolo il vero esame di maturità — quello che una società non può fallire, quello che ripete tutti i giorni.