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Il grande bluff della scuola per tutti. Forma i forti, non recupera i deboli

Nel saggio «Scuola di classe» Roberto Contessi svela l’inganno dietro le promozioni facili: una scuola classista che dà le giuste competenze solo a chi ha alle spalle una famiglia solida. Mentre gli altri non riescono a colmare lo svantaggio di partenza

30/10/2016
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Corriere della sera

Orsola Riva

La scuola italiana? Non funziona più da ascensore sociale, ma da nastro trasportatore. Nel senso che porta tutti o quasi al traguardo del diploma ma senza riuscire a colmare le diseguaglianze di partenza. E’ questa la tesi di fondo del saggio-pamphlet Scuola di classe di Roberto Contessi, professore di storia e filosofia al liceo Giulio Cesare di Roma. Ma come, 50 anni dopo la Lettera a una professoressa di Don Milani, siamo ancora lì? «Sì e no - spiega il professor Contessi -. Perché oggi siamo di fronte a un nuovo classismo di tipo culturale: non più ricchi contro poveri ma culturalmente forti contro culturalmente deboli». Il punto non è tanto o non solo se la famiglia di provenienza è ricca oppure no ma se attribuisce un valore all’istruzione o se ne disinteressa. Se un ragazzo non ha alle spalle dei genitori culturalmente solidi non viene bocciato come accadeva ai tempi della scuola di Barbiana ai figli dei contadini e degli operai. No: lo si diploma. Ormai si diplomano tutti (non proprio tutti, in verità, visto che il tasso di abbandono è al 15 per cento con punte del 25 per cento in regioni come la Sicilia e la Calabria).

La scuola che funziona solo pe chi non ne ha bisogno

«Ma in molti casi il diploma è poco più che carta straccia - nota Contessi -, perché la scuola non riesce a formare ragazzi con competenze adeguate, come certificano tutte le indagini nazionali e internazionali, dall’Invalsi all’Ocse-Pisa». In Italia un quindicenne su 4 è un quasi analfabeta matematico, nel senso che, data la ricetta di una torta per 4, non è in grado di calcolare le dosi di quella per 8. A più di 50 anni dalla riforma della scuola media le statistiche Piaac sulle competenze degli adulti ci dicono che due italiani su tre non sono in grado di comprendere ed elaborare informazioni minimamente complesse: leggere una mappa o un libretto d’istruzioni. Non è un caso se abbiamo 2 milioni di giovani inattivi, i cosiddetti Neet, che non studiano né lavorano, e solo un diplomato su tre si iscrive all’università.

Patto del silenzio scuola-famiglia

Ma come si è arrivati a questo punto? Secondo Contessi esistono diverse ragioni. Prima di tutto il sistema dell’autonomia scolastica che dà i soldi alle scuole in base alla produttività – cioè al numero di diplomati - anziché in base alla qualità. «Paradossalmente - nota Contessi - anche la spinta che ci viene dall’Europa per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica (Horizon 2020 ha fissato un obiettivo del 10%) può giocare a sfavore: nel senso che il modo più semplice per arrivarci è promuovere tutti». Ma soprattutto, secondo il professore, dietro le promozioni facili c’è un patto del silenzio tra presidi insegnanti genitori e figli, nel senso che alla fine fa comodo a tutti che il sistema formalmente continui a camminare.

Parola d’ordine: recupero

C’è un modo per invertire la rotta? Certo: la bacchetta magica del professor Contessi si chiama «recupero». Oggi esistono, è vero, 15 ore obbligatorie per legge, ma sono poco più che un placebo, quando non un imbroglio: non solo non bastano ma spesso vengono fatte male. Bisognerebbe sistematizzare le tante buone pratiche che già vengono messe in campo dalle scuole in modo che quello che finora viene lasciato alla buona volontà dei singoli diventi un progetto comune. Contessi spara alto. Dice che le scuole dovrebbero funzionare al mattino per l’apprendimento e al pomeriggio per il potenziamento e il recupero. Certo, tenerle aperte anche al pomeriggio avrebbe dei costi non indifferenti, mentre oggi si tende a concentrare l’orario scolastico al mattino e su 5 giorni anziché su 6 per risparmiare sul riscaldamento (e non apriamo nemmeno il capitolo dei compensi ai docenti per le loro prestazioni intra moenia, che dovrebbero essere calmierati rispetto al mercato delle ripetizioni private e soggetti a tassazione).

Per una scuola trasparente e responsabile

Più realisticamente, si potrebbe intervenire già al mattino, dividendo i ragazzi in gruppi e usando pratiche di «peer tutoring», dove i più forti in una certa materia, matematica ad esempio, aiutano i più deboli per poi magari scambiarsi i ruoli in italiano. Certo bisognerebbe essere disponibili a smontare il totem di classe e a lavorare in parallelo fra più sezioni. In questo modo anche la valutazione dei ragazzi - certificata da più mani diverse - offrirebbe quei criteri di trasparenza e obiettività in assenza dei quali la scuola finisce ostaggio dei ricorsi al Tar. «Se la scuola si assume la responsabilità di un recupero serio – dice ancora Contessi -, allora può anche avere il coraggio delle proprie scelte e decidere per la bocciatura. Ma si può e si deve ripetere l’anno solo se c’è la garanzia che sia stato fatto di tutto per evitarla». Troppo spesso invece la promozione facile è solo una bocciatura rinviata da parte dell’università o del mercato del lavoro.


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