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Il Giornale-La rivoluzione della scuola è l'insegnante

La rivoluzione della scuola è l'insegnante. E' urgente una riforma centrata sugli interessi degli utenti della scuola. Quindi la formazione e il reclutamento degli insegnanti devono stare al primo...

05/05/2005
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Il Giornale

La rivoluzione della scuola è l'insegnante.

E' urgente una riforma centrata sugli interessi degli utenti della scuola. Quindi la formazione e il reclutamento degli insegnanti devono stare al primo posto. Ne va della competitività nazionale.

di Robero Persico e Giovanni Cominelli

La politica del personale è la cruna dell'ago di ogni politica di riforma del sistema di isiruzione. Logicamente viene dopo la progettazione di nuovi assetti istituzionali e amministrativi. Ma le difficoltà insorte nel realizzare progetti di riforma del sistema di istruzione in Europa e in Italia negli ultimi quindici anni segnalano la necessità della priorità temporale o almeno, della sincronia delle politiche dì riforma del personale rispetto a quelle istituzionali e ordinamentali. Per queste ragioni. La prima è che le riforme dei servizi camminano sulle gambe degli addetti. La seconda deriva dalla decisiva variabile tempo: le legislature durano cinque anni, la luna di miele tra nuovo governo ed elettorato molto meno. Una riforma del personale fatta all'inizio della legislatura può sperare di passare in Parlamento e vincere le resistenze degli insegnanti solo se si dà il tempo di convincere, di far toccare con mano le convenienze. Fatta in dirittura di arrivo, la spinta riformistica arriva debole, mentre nel frattempo si accumulano resistenze. E esattamente ciò che è accaduto nel corso delle due ultime legislature. Il risultato è uno schema di Decreto attuativo dell'art. 5 della Legge 53 (Legge Moratti), che riguarda il personale, largamente al di sotto degli obiettivi di riforma previsti dalla legge stessa. Solo il 50 per cento potrà essere reclutato senza ricorrere alle graduatorie permanenti, con un meccanismo che di fatto garantisce il posto a chiunque esca da canale a numero chiuso dell'Università. Intanto la proposta di legge sul nuovo stato giuridico giace tra mille insidie e timidezze nei cassetti del Parlamento.

Quali sono le competenze necessarie per la professione docente?

a) la conoscenza dell'area disciplinare specifica. delle teorie psico-pedagogiche, dell'ambiente istituzionale, amministrativo e organizzativo della scuota;
b) la capacità di mediazione didattica e di comunicazione;
c) la capacità relazionale.
Quale itinerario di formazione?

Tocca all'Università fornire le conoscenze, all'Università e alle scuole sviluppare le abilità didattiche, comunicazionali, relazionali, formalizzando il praticantato nelle scuole stesse e il tutorato da parte di insegnanti esperti.

Quale procedura di reclutamento?

a) L'Università conferisce la laurea abilitante al termine dell'itinerario sopra descritto;
b) le scuole autonome assumono gli insegnanti, a seguito di un bando di concorso, dopo aver verificato attraverso prove e colloqui l'idoneità del candidato a ricoprire il posto.
Quale carriera?

Il principio propulsivo della carriera professionale degli insegnanti non è il compleanno, ma la capacità, che viene accertata mediante valutazioni periodiche da parte della scuola. Il livello di capacità e di merito determina il livello retributivo. Per sviluppare le risorse umane che le sono state affidate la scuola provvede all'aggiornamento del personale assunto. Qualora l'accertamento delle capacità sia negativo, la scuola deve poter adottare ogni misura conseguente, dall'azione di aggiornamento fino all'estremo del licenziamento.

C'è anche un altro punto di piattaforma, invisibile, ma decisivo. Si chiama "rischio educativo". È questo che si deve assumere ogni insegnante, quando entra in classe la mattina. Nasce dal prendere atto che si trova di fronte a un essere umano teso verso un orizzonte di verità e di bellezza che lo attira e lo trascende. Una persona da accompagnare verso la "fioritura umana" della sua libertà. Lo si può fare solo se si ha speranza, solo se si ha speranza, solo se si pratica un dialogo educativo a partire da ipotesi in cui si crede fortemente fino a impegnare la propria vita in profondità. Un dialogo che non si riduca a un flusso acritico di opinioni senza peso specifico e senza valore, in nome del dialogare medesimo.

Punto invisibile, ma condizione ontologica di tutti quelli che abbiamo elencato; non verificabile da un sistema tecnico di valutazione, ma sperimentabile da chiunque ti stia di fronte o a fianco.

La piattaforma esposta precedentemente non viene da Marte. Molti paesi europei ne praticano l'uno o l'altro punto o quasi tutti. Finlandia e Gran Bretagna praticano forme di assunzione diretta del personale e lo valutano, Francia e Germania valutano rigorosa mente gli insegnanti.

Per realizzare questa piattaforma occorrono nuove scelte legislative (un nuovo stato giuridico) e scelte politiche urgenti, che tengano conto degli interessi degli utenti (i ragazzi, le famiglie, il paese), ai quali vanno subordinati gli interessi degli addetti (insegnanti, dirigenti, burocrazia scolastica, sindacati della scuola).

Qualora attuata, permetterebbe di eliminare in tempi ragionevoli le distorsioni e le anomalie che colpiscono utenti e addetti: la condizione impiegatizia e poco retribuita degli insegnanti, l'innalzamento crescente dell'età media oltre i cinquant'anni la frustrazione diffusa, l'accumulo di una massa di sottoproletariato intellettuale di mezzo milione di precari parcheggiati nelle graduatorie permanenti.

Si tratta di scelte urgenti: perché, come le indagini internazionali segnalano, il nostro sistema educativo sta declinando, anno dopo anno, soprattutto nelle aree centro-meridionali de paese. Il suo declino trascina con sé quello del paese.

La crescita del capitale umano spiega circa i due terzi della crescita del reddito di un paese. Questo accade, almeno, nei paesi dell'Ocse. Dalla Conferenza di Lisbona del 2000 dell'Ue non è più dato leggere un documento che non reciti la giaculatoria del capitale umano e dell'economia basata sulla conoscenza. Al colto e all'inclita è ormai chiaro che lì si decide per i paesi europei, in particolare per l'Italia, da che parte si collocheranno nei prossimi anni sul crinale che separa sviluppo e declino. Ma non appena si passa dalle declamazioni buone per i convegni a stringere più da vicino la questione del capitale umano per farne un oggetto concreto di politiche concrete la politica torna nella nebbia. Si provi, per un attimo, a sostituire a "capitale umano" l'espressione "formazione degli insegnanti". È una brachilogia tutt'altro che insensata. Infatti: chi è l'addetto, chi è l'operaio specializzato, l'ingegnere, il progettista del capitale umano? L'insegnante, non c'è dubbio. Il dirigente scolastico, del pari. Se il capitale umano cresce, è perché gli insegnanti sono preparati a coltivano. Se non sono capaci di farlo, il capitale umano dei ragazzi non si accumula.

Detto in altro modo: la politica della formazione e del reclutamento dei docenti è una parte decisiva della politica economica di un governo, della politica di sviluppo del paese. Non è questione da delegare a occhi chiusi ai ministri di turno dell'Istruzione, che si occupano di sistema educativo e di politica del personale. In Europa le teste di tre-quattro ministri dell'Istruzione, compresa quella di Luigi Berlinguer, rotolarono negli anni Novanta sotto la ghigliottina della questione del personale. Non sembra destinata a esito migliore la vicenda della politica del personale scolastico in Italia. Non solo perché ciò che doveva essere oggetto di scelte di riforma radicali fin dall'inizio della legislatura è scivolato stancamente verso la sua fine. Ma soprattutto perché la proposta di riforma è debole, non risolutiva rispetto alle urgenze economiche ed educative del paese. Benché nei prossimi dieci anni siano destinati alla pensione circa 300 mila insegnanti, i posti saranno riempiti solo per il 50% da giovani reclutati in modo più moderno (ancorché inadeguato); gli altri verranno attinti dalle infinite graduatorie permanenti. I tempi per poter disporre di personale docente e dirigente ricco del capitale umano necessario per far crescere quello della società e del Paese si allungano straordinariamente in avanti. Di quanto? Dieci, quindici, vent'anni? Troppi, comunque! I punti essenziali della piattaforma che il dossier di Tempi propone ne prevedono uno non visibile: quello dell'urgenza. Se questo punto. insieme agli altri, non passerà a ispirare l'elaborazione 1egislaitva e le politiche di governo, l'Italia è destinata a scivolare all'indietro sulle scale mondiali che contano, prima fra tutte quella della competitività.

Sotto i numeri del nostro declino sta in filigrana il destino delle generazioni più giovani, cui la classe dirigente politica e sindacale adulta imputano spesso disimpegno, disperazione e nichilismo, essendone esse per prime le cause fondamentali. La mancanza di visione riformistica delle forze di opposizione e le timidezze delle forze di maggioranza stanno paralizzando il Parlamento e l'azione di governo di riforma della politica del personale, pietrificato da decenni in una condizione di frustrazione impiegatizia e prigioniero di una rappresentanza sindacale onnipotente, cui la politica e i ministri riconoscono un improprio diritto di veto sul futuro delle giovani generazioni


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