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Il Fatto: Privilegio "Concordato"

Marina Boscaino

16/05/2010
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Il Fatto Quotidiano

Con l'esame di Stato alle porte si riaffaccia prepotente la questione dei crediti di religione cattolica

Questa è la storia di una battaglia che rischia di essere considerata di retroguardia, e che è invece impegno di civiltà. Per come si è svolta, identifica una delle molte responsabilità del centrosinistra nell’attuale stato d’indebolimento dei principi fondanti cui si ispira la nostra società.

Esame di Stato alle porte: come ogni anno riemerge il caso "crediti di religione cattolica". La novità, questa volta, è rappresentata dalla levata di scudi della stampa nazionale, con tanto di interventi autorevoli e imprevisti, come quello di Pierluigi Battista, che, il 13 maggio, dal “Corriere della Sera”, commenta in maniera seccamente negativa la recente sentenza del Consiglio di Stato, che ribalta il precedente orientamento del Tar del Lazio, e stabilisce il principio che l’ora di religione cattolica può dare crediti a chi se ne avvale. Il credito è il punteggio aggiuntivo che viene accumulato negli ultimi 3 anni delle superiori, risultante dalla media scolastica e da altre attività formative svolte individualmente. In sostanza, l’ora di religione viene compresa in questo insieme e può concorrere a incrementare la valutazione dello studente.

Condizione che viene di fatto propiziata dalla collocazione dell’insegnamento della religione cattolica (Irc), facoltativo, all’interno dell’orario scolastico obbligatorio per tutti. Indipendentemente dal numero degli studenti che “non si avvalgono” (circa il 40% nelle superiori a Milano, ad esempio), il Consiglio di Stato è andato a riaccendere una miccia che scoppia su questioni di interesse generale, coinvolgendo uno dei principi su cui si declina la scuola pubblica: la laicità. “Il fatto che la chiesa aggravi i problemi attuali della scuola italiana, costruendo artificiosamente un contenzioso per dare maggiore credibilità agli insegnanti di religione cattolica, mostra chiaramente che non ha a cuore la formazione dei cittadini, particolarmente importante in questo momento di crisi della democrazia” sostiene Marcello Vigli, esponente delle Comunità Cristiane di base e tra i fondatori dell’associazione Per la scuola della Repubblica.

Ho un collega di Irc che svolge il suo mandato con responsabilità e consapevolezza dei reciproci ruoli, riservando notevole attenzione al dialogo educativo con i ragazzi. Tuttavia credo che la laicità – principio e valore – della scuola pubblica vada tutelata intransigentemente. Del resto, la religione cattolica non fa parte delle materie curriculari su cui calcolare la media. Dal 1985 (dal Nuovo Concordato) sono state numerose le incursioni tentate in deroga al concetto che “l’insegnamento delle religione cattolica non deve essere in alcun modo discriminante”: tutte finora sventate dal Tar, dalla Corte costituzionale e dalla revisione dell’intesa tra governo italiano e Cei. La Consulta (203/89 e 13/91) stabilì che gli allievi che non scelgono la religione cattolica non hanno alcun obbligo né di frequentare un altro insegnamento, né di essere presenti a scuola. E che solo la piena facoltatività dell’Irc permette di non considerare questo insegnamento incostituzionale, dal momento che dalla sua presenza non può discendere alcuna limitazione delle libertà personali fondamentali dei cittadini della Repubblica.

Inoltre, la cultura dell’“insegnamento alternativo” (offerto agli alunni che non frequentano Irc), di fatto, nella nostra scuola non è mai esistita (come sottolinea anche la stessa sentenza del Consiglio di Stato, ammonendo Gelmini in questo senso): per ignoranza, per mancanza di richiesta intransigente da parte dei diretti interessati, per impiego differente degli insegnanti che sarebbero disponibili a tenerli e nonostante i fondi attribuiti dallo Stato agli Uffici Scolastici Regionali per l’attivazione delle attività (dove finiscono effettivamente quei fondi?).

La crociata a favore del credito determinato dalla frequenza di religione cattolica è stata bipartisan, perché la sentenza del Tar – sconfessata dal pronunciamento del CdS – derivava da un ricorso di studenti supportati da associazioni laiche e di confessioni religiose non cattoliche che contestavano il fatto che il ministro Fioroni avesse inserito nell’ordinanza sugli esami di Stato la possibilità che i docenti di religione cattolica attribuissero crediti, violando il principio di uguaglianza. Il Tar affermò con una sentenza limpidamente democratica che far valere l’ora di religione ai fini dei crediti e del voto finale genera disparità tra gli studenti e lede la laicità dello Stato, sottolineando la discriminazione nei confronti di coloro che legittimamente non si avvalgono. La lettura puramente amministrativa da parte del CdS si traduce, invece, nella riaffermazione di una discriminazionei su scelte che appartengono alla sfera della coscienza individuale.

Non dovrebbe essere nemmeno interesse della Chiesa, la cui egemonia culturale è già incontrastata, rischiare di rendere l’opportunismo uno dei criteri alla base di una scelta così significativa per un credente. La storia di questa vicenda nel nostro Paese dal 1929 al 1985 fino ad oggi – dimostra che qualunque logica concordataria non può che produrre privilegi e discriminazioni.


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