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Il fallimento della scuola 2.0.

Fondi stanziati che arrivano con il contagocce, docenti a corto di preparazione e infrastrutture inadeguate. La fine dell'anno scolastico traccia ancora una volta un bilancio amaro: malgrado i tanti proclami, la sfida per digitalizzare l'insegnamento arranca e l'ambizione di avere elementari, medie e superiori al passo con i tempi resta un miraggio. Con un paradosso a monte: in Italia, secondo lo stesso governo, il 44% della popolazione è ancora incapace di accendere un computer

25/06/2014
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la Repubblica

Alice Gussoni e Salvo Intravaia

Digitale senza banda larga

 ROMA - Un altro anno scolastico è finito e con esso svaniscono anche le speranze di fare lezione con il tablet in classe. Così gli studenti delle 800 nuove Cl@ssi 2.0 portano a casa la delusione di un'occasione persa. Cosa avreste pensato se 20 anni fa i vostri figli fossero tornati da scuola chiedendovi come si usa un dizionario? Ciò che sta accadendo oggi in fondo è esattamente questo: la digitalizzazione nelle scuole è terribilmente in ritardo e insegnare ad utilizzare al meglio un motore di ricerca sembra ancora un lavoro pionieristico, svolto da pochi avventurosi docenti con mezzi di fortuna.

 Colpa del sostanziale fallimento del Piano Scuola Digitale del ministero dell'Istruzione, che non ha saputo stare al passo coi tempi e, per il momento, ha lasciato gli investimenti solo sulla carta. I piani di azione, previsti dal bando indetto dal  Miur per l'anno 2013/2014, prevedevano un impegno di 40 milioni circa in cofinanziamento con le Regioni, da distribuire su tre obiettivi: Piano Lim, Cl@ssi 2.0 e Scuola 2.0. Di questi solo il primo è stato attivato nei tempo previsti, forse anche in virtù del fatto che le spese per il kit Lim - le lavagne multimediali dotate di proiettori - erano a carico delle Regioni che avevano sottoscritto il piano.

Progetti da rimandare. Il resto delle dotazioni arriverà, anzi, sta arrivando proprio in questi giorni, secondo quanto fanno sapere dal Ministero. Ma intanto l'anno scolastico è finito e i progetti che dovevano partire quest'anno sono tutti da rimandare. "Si tratta di un ritardo dovuto a una normale procedura di revisione dei conti", si giustifica Maria Letizia Melina, direttore del Dipartimento per la Digitalizzazione al Miur. "La volontà di portare avanti il piano Scuola Digitale c'è - aggiunge - e lo dimostrano i soldi messi in campo finora". Molti secondo le stime fornite, troppo pochi secondo il report stilato dall'Ocse, nel quale si  parla di un investimento di circa lo 0,1 sul totale del budget annuale, e cioè 120 milioni distribuiti dal 2008 al 2011 durante il primo ciclo del Piano.

 Purtroppo la spending review e i continui cambi al vertice hanno fatto sì che le risorse subissero continui ridimensionamenti e, sopratutto, che venisse a mancare una strategia manageriale coerente sul lungo periodo. I risultati parlano chiaro: le Cl@ssi 2.0 fin qui attivate sono 416 in tutto su 323.605 e 14 le Scuole 2.0 su 22.600 sedi. Molto meglio quando si parla di Lim, presenti nelle scuole nel 32,2% dei casi, per un totale di 71.800 lavagne multimediali.

Il minore dei mali. Secondo quanto raccontano professori e studenti, la mancata consegna del tablet sembra essere il minore dei mali. A monte risalta infatti la carenza cronica delle infrastrutture di rete, per cui secondo i dati forniti dall'Osservatorio Tecnologico del Miur solo il 10,5% delle scuole di primo grado avrebbe una connessione veloce, percentuale che arriva al 23,1% nel caso delle superiori, mentre in totale più del 53% delle aule sono completamente disconesse. "Ci arrangiamo come possiamo", spiega Floriana Franchi, professoressa di inglese al liceo Democrito di Acilia. "Io per esempio mi porto dietro il mio dvd, per non perdere tempo a caricare i filmati da internet".vidi   

 Secondo la testimonianza di Carlo, studente all'ultimo anno del liceo Eugenio Montale di Roma, spesso i computer in dotazione alla classe non si accendono proprio: "I prof impazziscono e molte volte ne facciamo direttamente a meno. Anche perché la Lim a cui andrebbe collegato è in condivisione con altre classi, quindi se non si è abbastanza veloci a prenotarla non è proprio disponibile". Agli occhi degli studenti le tecnologiche scolastiche di base sembrano archeologia industriale. A spiegare come stanno le cose è la preside del liceo Democrito Paola Bisegna: "Viviamo di donazioni e abbiamo imparato a riciclare tutti i computer dismessi, che vanno avanti a forza di aggiornamenti. Quando c'è la volontà si fa tutto, con molta fatica a volte, ma la soddisfazione di vedere dei ragazzi attenti e coinvolti nella lezione è straordinaria".

La buona soluzione. L'arte di arrangiarsi sembra essere una buona soluzione perché sempre nello stesso liceo, che è fra quelli vincitori dei fondi mai arrivati, c'è anche chi ha deciso di attrezzarsi per conto proprio. Roberta Bolzanello insegna matematica e fisica e, stufa di aspettare le dotazioni che verranno, ha iniziato a utilizzare il proprio tablet: "Quello che possiamo insegnare attraverso questi dispositivi è un metodo, perché studiare non significa semplicemente leggere un libro, ma molti libri, e cioè completare l'informazione. Quindi io gli insegno a fare ricerca. Inoltre in questo modo riusciamo anche a raggiungere chi, purtroppo per motivi di salute, è costretto a non frequentare". Ma quando chiediamo in che modo abbia bypassato i problemi di scarsa connettività risponde serafica: "Personalmente ho la mia connessione, perché quella che abbiamo è un po' ballerina".

 Il privilegio di una buona connessione (parliamo sempre di una media nazionale che oscilla intorno ai 4,9 Megabit per secondo, fonte Akamai) è un pre-requisito per accedere ad uno qualsiasi dei fondi messi a disposizione dal Miur per il piano. Quest'anno in particolare fra le iniziative volte alla digitalizzazione delle scuole, sono stati previsti ben 15 milioni di euro - decreto 128/2013, l'Istruzione Riparte - per il potenziamento della rete internet preesistente, attraverso l'installazione di dispositivi wireless. Stanziamenti pensati solo per le superiori però, mentre elementari e medie, da sempre le più deboli dal punto di vista delle infrastrutture di rete, per il momento sono rimaste a guardare. Dal ministero sono i primi a rendersi conto dell'estrema criticità di intervento su un territorio così "disconesso". "La scuola dovrebbe avere una corsia preferenziale su tutto - afferma ancora Maria Letizia Melina - ma quella della digitalizzazione è solo una piccola parte dei problemi che riguardano l'intero settore dell'Istruzione e dell'Amministrazione Pubblica tutta".

 Ma il problema resta la formazione
 Messa così effettivamente sembrano esserci urgenze ben più importanti, come gli interventi per l'edilizia scolastica, sempre sull'orlo di possibili crolli. Ma i problemi di natura infrastrutturale sono solo uno degli aspetti di questa lentissima marcia verso il futuro. Dopo la connettività, il secondo grande scoglio rimane quello della formazione. Saper accendere e spegnere un computer - abilità condivisa peraltro solo dal 56% degli italiani secondo l'Agenzia per L'Italia Digitale - non basta a svolgere una lezione 2.0. Franco La Teana, preside dell'Istituto Comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, Milano, dopo un anno di sperimentazione di Scuola Web, uno dei progetti attivati coi fondi della regione Lombardia, osserva che per insegnare in modalità digitale servono competenze specifiche, che esulano dalla formazione base della maggior parte dei docenti. "Ci sono ancora molte incognite - sottolinea - Se io ti do il dispositivo, ma non sei preparato, allora non riesci a sfruttare le sue potenzialità e una Lim si riduce a una lavagna di ardesia a colori. A volte addirittura si perde più tempo a far funzionare la strumentazione che per la stessa lezione, quindi tutto è a discapito dell'apprendimento". Uno dei dubbi più comuni inoltre è che il mezzo sia in realtà un ulteriore fattore di distrazione per gli studenti: "La maggior parte dei docenti infatti - continua La Teana - utilizza i contenuti digitali esattamente come fossero un libro stampato, ma con molto più disagio proprio perché con un tablet fra le mani è più facile distrarsi". 


Timori dei nuovi mezzi. La formazione fin qui assicurata è quella base, poche ore per spiegare il funzionamento "tecnico" della strumentazione. Dopo di che però la maggior parte degli insegnanti effettivamente non sa cosa farsene dei nuovi mezzi, o ne è addirittura intimorito. Sulla scia delle critiche mosse dall'Ocse il ministero ha deciso di far partire nel 2013 un piano di formazione, volto proprio a colmare questo vuoto. Ma, fatto il bando e individuati i possibili poli che andranno a svolgere la funzione di formatori, ancora una volta tutto è rimasto fermo e dei 600.000 mila euro messi a disposizione per 39 plessi, cui andrebbero aggiunti ulteriori stanziamenti provenienti sempre dal decreto 128/13, ancora non si ha notizia. Anche se il direttore Melina assicura che la scure della spending review non colpirà questi fondi, non ci sono lumi su eventuali progetti futuri. I soldi sono pochi e gli investimenti per la formazione quasi irrisori.

 Secondo le elaborazioni dell'Unione Sindacale di Base sono meno di 8 euro l'anno per ogni impiegato nel settore scuola. Ma a preoccupare è l'incapacità endemica del sistema della pubblica amministrazione di portare a termine i piani della digitalizzazione. Nel caso dell'Istruzione gli obiettivi mancati comprendono anche il registro digitale, dove l'autonomia scolastica ha scatenato un pandemonio fra la corsa al ripristino delle più incredibili forme di paleo-computer, a indecifrabili casi di incompatibilità gestionale, su cui l'Agcom ha aperto un capitolo di indagine per fare chiarezza. Ci sono poi la mancata adozione del risponditore automatico per i test Invalsi, i cui risultati sono trascritti con meticolosità amanuense a causa di un'incompatibilità di sistema mai risolta, e la questione dei libri di testo, arrivata al suo anno zero a settembre 2013, grazie anche alla liberalizzazione - parziale - sulla creazione di contenuti digitali. Una possibilità concreta, ma ancora priva di mezzi, perché senza un tablet fra le mani rimane difficile da utilizzare.

 Sponsor e sinergie per risalire la corrente

 Qualche idea per per uscire dalla crisi c'è. Non sempre il digitale nelle scuole rimane un miraggio e anche se i punti di partenza sono diametralmente opposti, quello che conta è il risultato. L'esperienza portata a termine quest'anno dalle scuole elementari e medie di Cinisello Balsamo, sotto la guida dell'Università Bicocca e in comune accordo con l'Amministrazione locale, rappresenta una di queste. L'altra invece è Smart Future, il progetto pilota proposto dalla Samsung, che ha interessato 25 scuole in tutta Italia, seguito dell'Università Cattolica.

 Un distretto tecnologico. Nel primo caso parliamo di una collaborazione tra Comune e Università, che insieme hanno dato vita a un progetto destinato alla realizzazione di un distretto tecnologico. A spiegare nel dettaglio come si può riuscire in un impresa che fin qui sembra impossibile è Davide Diamantino, professore dell'Università Bicocca: "Siamo stati attenti affinché tutte le scuole, 17 in tutto, avessero un sistema gestionale omogeneo. Questo si è tradotto anche in un risparmio di quasi 60 mila euro l'anno per l'Amministrazione". La finalizzazione di tutti i fondi comunali disponibili per le scuole (in questo caso 120 mila euro l'anno) al raggiungimento di un unico obiettivo ha fatto sì che venisse realizzato un piccolo capolavoro di funzionalità. "Avere agito sull'intera comunità scolastica ha fatto in modo che non esistessero più scuole di serie A e di serie B", continua Diamantino. "L'affidamento di un tablet personale ad ogni docente inoltre è stato fondamentale. Il computer di classe rischia di diventare un elettrodomestico a cui nessuno fa caso. Quando lo strumento è personale invece diventa un oggetto che fa parte della tua identità professionale e quindi sei spinto a usarlo al meglio".

Soluzioni. Se la logica dei progetti territoriali offre una via di uscita, l'altra soluzione sembra essere l'apertura a sponsor privati. Quello proposto da Samsung rappresenta uno degli esperimenti più innovativi nell'universo scuola. Da una parte perché ad essere coinvolte per una volta sono le scuole elementari, da sempre escluse dalle principali sponsorship, dall'altra perché le dotazioni riguardano l'intera classe. I punti fondamentali dell'offerta sono un tablet per ogni bambino e la formazione dei docenti impostata per ottimizzare il loro utilizzo. Il professor Pier Cesare Rivoltella dell'Università Cattolica è il referente del progetto. "Lavorare con i bambini delle primarie - spiega - è stato più facile. Loro si muovono a proprio agio su queste tecnologie perché a casa le usano già. Inoltre nella scuola primaria c'è una predisposizione alla didattica laboratoriale, fa parte del suo codice genetico. Più si sale di grado e più si sente il peso di tradizioni didattiche molto rigide, dove persiste il fantasma dei vecchi programmi ministeriali. A volte si fraintende il valore del mezzo, che non è sostitutivo ma integrativo della didattica tradizionale. Il digitale è qualcosa di più di un semplice metodo sperimentale. E' il presente".

 L'incubo del registro elettronico

 ROMA - Una rivoluzione mancata. Quella del digitale nelle scuole sembra essere la solita storia all'italiana, ottimi propositi e obiettivi più che condivisibili, ma i risultati raggiunti restano ancora molto lontani dalle aspettative. Il registro elettronico rappresenta forse l'emblema dello stato di arretratezza nella digitalizzazione della PA. Centoundici euro in tutto: questi i fondi stanziati nel 2012 per raggiungere l'ammirevole traguardo di un pc in ogni classe. Ma i 24 milioni impegnati dal Miur, 40 milioni in tutto contando anche i fondi regionali, sono risultati più che insufficiente per colmare le enormi carenze strutturali che aggravano la galassia scuola.

 Storie di professori che si addormentano stremati sul pc di casa nel tentativo di inserire i dati nel sistema. Battaglie silenziose fra le classi per accaparrarsi l'unico computer mobile della scuola. E, soprattutto, l'incertezza di un decreto, il n. 95/2012 contenente "Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica", convertito poi in legge n. 135/2012, che ha creato un far west dove fornitori di software e sistemi gestionali duellano per accaparrarsi fette di mercato, dove le scuole sono divenute ostaggio di quella stessa autonomia che dovrebbe garantirgli la possibilità di scegliere il prodotto migliore.

Nessun risparmio. Antonella Giglio, del Liceo Farnesina di Roma, racconta: "Al momento non c'è stato alcun risparmio, perché dobbiamo stampare correntemente i dati aggiornati in prossimità dei colloqui con i genitori. Inoltre in classe, visto che non abbiamo il computer, appuntiamo tutto su delle fotocopie che poi vanno trascritte sul registro digitale". Un doppio lavoro e una media di 5000 pagine per istituto, stampate in fretta e furia e del tutto ingiustificate, se non fosse per quei disservizi che proprio in questi giorni caldi hanno interessato il sistema informatico del Miur, gettando nel panico i docenti alle prese con gli esami di maturità.

 Noemi Ranieri, Uil Scuola, spiega: "Il ricorso continuo alle spending review ha causato in questi anni un continuo slittamento nell'erogazione dei fondi previsti". Il ritardo accumulato quindi è sistematico e oggi, 4 anni dopo, vediamo il risultato dei fondi impegnati nel primo piano per la Scuola Digitale, avviato nel 2009. Dal prossimo anno dovrebbe finalmente partire a pieno regime il registro digitale, ma, visto che i soldi sono già stati spesi, l'unica speranza rimangono, ancora, i fondi promessi nel 2013 per le 800 nuove Cl@ssi 2.0.


Esasperati siamo tornati al carteceo

 di SALVO INTRAVAIA
 Si fa presto a dire Scuola 2.0. Ma poi quando si passa dalle parole ai fatti ci si rende conto che la realtà è un'altra cosa. Specialmente, se ti tocca fare l'esperienza in prima persona. Non una di quelle cose che ti raccontano. E quella del registro elettronico è un caso emblematico. Un paio di anni fa, il ministro dell'Istruzione di turno - Francesco Profumo - annuncia urbi et orbi che dall'anno successivo le scuole dovranno adottare obbligatoriamente il registro elettrico. Niente più anacronistica carta - che deforesta il pianeta - e informazioni in tempo reale ad alunni e famiglie. Una bella novità pensano in parecchi. Ottimismo che scema immediatamente appena si varca il portone di una scuola: gli insegnanti nutrono qualche dubbio che il vento dell'innovazione riesca a colpire anche la scuola italiana. Lo scorso settembre, sarebbe dovuto partire il cyberegistro ma il ministero all'inizio nicchia.

 La scuola compra tanti tablet quanti sono i docenti e pochi giorni prima che prendano il via le lezioni, organizza un corso di aggiornamento di 8 ore, con una ragazza che dietro ad un computer descrive le mirabilie della tecnologia in questione. L'applicativo sembra semplice da usare e in parecchi si convincono a prendere in uso il tablet. Ad ottobre il ministero cambia rotta: comunica che quello appena iniziato sarà un anno di transizione. Insomma: chi vorrà, potrà avventurarsi nella cosiddetta dematerializzazione di voti, assenze e quant'altro. Nella mia scuola - un prestigioso (!?!?) liceo scientifico di Palermo - si apre un acceso dibattito tra innovatori e conservatori. "Ma se prima o poi saremo costretti ad adottarlo, tanto vale iniziare quest'anno", dicono alcuni. Altri restano piuttosto tiepidi. E alla fine si decide di osare. Ma quando i più entrano in classe per le prime lezioni è il caos.

 Per aprire il programma, registrare e segnare le giustificazioni passano almeno 20 minuti e la lezione si riduce a meno di tre quarti d'ora. "Saranno i primi giorni", pensano in tanti. Ma le cose non cambiano. I ragazzi osservano increduli capannelli di docenti concentrati sotto le antenne dei ripetitori wireless perché solo in alcuni punti dei corridoi i tablet funzionano. E cominciano le prime defezioni: un buon numero di colleghi decide di restituire le infernali macchinette e opta per il tablet personale. Io, quello della scuola non l'ho mai preso in considerazione, ma anche il mio - di una nota marca - non riesce a connettersi quasi mai. La rete wireless della scuola non riesce a sostenere il carico di 137 tablet.

 Così, si decide di chiedere alla ditta che ci ha fornito il tutto di potenziare la rete. Le cose non cambiano molto. A quanto pare, ma questo non è mai stato chiarito del tutto, il sito che gestisce il registro elettronico non sarebbe ottimizzato per i tablet. Ma forse non è vero neppure questo. Fatto sta che coloro che decidono di comprare una sim ad hoc e utilizzano il proprio tablet riescono a lavorare. Chi invece cerca di usare le attrezzature fornite dalla scuola 2.0 si blocca. E si rende conto come, in alcuni casi, la tecnologia possa complicarti maledettamente la vita e riportarti indietro di anni se non è adeguatamente supportata dalle infrastrutture necessarie a farla funzionare al meglio. Col registro elettronico ci si aspetta di risparmiare tempo, avere il lavoro agevolato e non consumare più carta.

 E invece no: il lavoro e raddoppiato e poi verrà anche triplicato. Arrivati a casa, gli insegnanti che non sono riusciti a inserire voti e assenze nel registro di classe e nel registro personale si siedono davanti al computer e completano l'opera: almeno mezz'ora al giorno di lavoro. Dopo qualche mese, la massa degli scontenti chiede di ridiscutere la questione. E il collegio dei docenti opta per una soluzione salomonica: il registro di classe torna cartaceo, quello del professore resta elettronico. Una mezza sconfitta. Perché in questo modo il lavoro dei docenti triplica: prima i professori compilano il registro cartaceo in classe e a casa compilano quello elettronico.

 Ma per rendere completo il registro dell'insegnante occorre compilare anche quello di classe, sempre elettronico. Un lavoro immane che nessuno si aspettava. E, per di più, con informazioni incomplete, perché tra il mezzo registro di classe elettronico di inizio anno e l'altra metà cartacea qualche informazione si perde. Inoltre, alla faccia della dematerializzazione, i colleghi più timorosi stampano centinaia di fogli per avere un documento tangibile in caso di default del sistema. Una sonora sconfitta su tutta la linea. E alla fine dell'anno i docenti non sono neppure in grado di fornire informazioni agli studenti che chiedono lumi. "Prof, qual è la mia situazione?". "Non lo so - sono costretti a rispondere i prof - perché non posso aprire il registro con i voti. Domani ti faccio sapere".


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