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Il dramma dei più deboli se cade la rete dei servizi

di Chiara Saraceno

02/08/2013
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la Repubblica

Drastico taglio, se non eliminazione, ai sussidi per chi si trova in povertà, inclusi i sostegni al costo dell’affitto. Manutenzione delle strade e degli spazi pubblici ridotta al minimo o assente. Perdita di posti di lavoro e aumento della disoccupazione come conseguenza della riduzione delle attività comunali che difficilmente possono essere sostituite dal mercato.
Le conseguenze per i cittadini della dichiarazione di bancarotta della loro città sono ben più gravi, e con risultati ancora più disugualizzanti, della conferma dell’Imu sulla prima casa o dell’aumento di un punto dell’Iva. Toccano, infatti, la vita quotidiana, la possibilità di fronteggiare ogni giorno bisogni di cura e partecipazione al mercato del lavoro, la possibilità di essere sostenuti nella propria vita quotidiana anche se non del tutto autosufficienti, di muoversi nel territorio urbano senza doverci impiegare un tempo sproporzionato a causa della riduzione del servizio di autobus, peggiorando le condizioni del traffico con l’utilizzo massiccio del trasporto privato (per altro sempre più costoso) e correndo rischi di incidenti a causa della cattiva manutenzione delle strade.
Anche se il peggioramento della qualità della vita urbana tocca tutti, direttamente o indirettamente, più colpiti sono i più poveri e coloro che hanno un reddito modesto, che non possono ricorrere al mercato privato. Più colpite sono anche coloro che hanno la principale responsabilità della gestione della vita quotidiana anche per i propri famigliari, quindi per lo più, anche se non esclusivamente, le donne.
Tutti i Comuni, anche quelli più virtuosi, da ormai diversi anni fanno giochi di equilibrio per tentare di mantenere un minimo di servizi in una situazione di entrate decrescenti e per di più incerte, non solo a motivo della crisi economica che ha ridotto la base imponibile, ma anche delle decisioni dei governi centrali. La forte riduzione dei trasferimenti ha lasciato senza risorse i Comuni proprio quando diminuivano le entrate locali. Prima l’eliminazione dell’Ici sulla prima casa, poi l’introduzione dell’Imu e ora la sua successiva eliminazione/sospensione per le prime case ha reso impossibile ai Comuni valutare la consistenza di questa, che rimane la principale imposta locale. Per non parlare dei crediti che le amministrazioni locali vantano verso l’amministrazione centrale per attività svolte per conto di questa (a cominciare dalle elezioni). Ma se è difficile per tutti i Comuni far quadrare i bilanci senza intaccare profondamente i servizi per i cittadini, per quelli in bancarotta dichiarata è impossibile. Le responsabilità locali per la bancarotta non vanno certo ignorate, anche se troppo spesso le amministrazioni locali si trovano a dover fronteggiare decisioni cui non hanno partecipato e su cui non hanno potere. In ogni caso, una democrazia e una società civile non possono permettersi di trattare come semplici disgrazie locali i costi sproporzionati che ricadono sui più deboli e l’aumento delle disuguaglianze che ciò provoca.
Ancora di più se parte delle responsabilità è del governo centrale e del Parlamento, del modo in cui negli anni sono state definite le responsabilità e i poteri tra i diversi livelli di governo, di un centralismo nella gestione delle risorse che si è accompagnato al decentramento delle responsabilità per la fornitura di servizi essenziali, della assenza, in campo sociale, di livelli essenziali di prestazioni analogamente a quanto avviene in sanità. Proprio mentre la crisi economica rende più vulnerabili molti individui e famiglie, le conseguenze di una concezione puramente residuale, periferica e discrezionale delle politiche sociali emergono in tutta la loro gravità.


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