Il dirigente scolastico fra dimensionamento e leadership
Una riflessione a margine del convegno di Napoli dei ds della Flc Cgil
Franco Buccino
A metà degli anni ’90 in una breve ma intensa stagione di riforme nacque la cosiddetta autonomia scolastica, e da essa discese la dirigenza scolastica. Con il compito di sostenerla, rappresentarla e praticarla. Già in una fase rivendicativa della dirigenza si diceva, tra l’altro, che il preside era una sorta di tappo che comprimeva professionalità e ruoli presenti nelle scuole, che potevano invece prender forma e realizzarsi se lui fosse diventato un dirigente. Si pensava, in primis, al vecchio segretario e al vicepreside, ma anche ad altri ruoli e collaborazioni dei docenti. Effettivamente, con l’acquisizione della dirigenza da parte dei presidi, si passò rapidamente a una definizione dell’area amministrativa e dei servizi, alla creazione della figura del Dsga, il Direttore dei servizi appunto, e di altre figure al momento solo dette, e cioè il coordinatore amministrativo e quello tecnico. E a una generalizzazione delle articolazioni dell’ex segreteria, come si ascolta dai messaggi telefonici di accoglienza delle scuole: l’amministrazione, la didattica, il personale, la contabilità, l’ufficio tecnico. Sul fronte didattico, invece, non è cambiato niente.
Ma cosa poteva cambiare, e perché non è cambiato. Nelle scuole abbiamo le funzioni obiettivo, previste dal contratto, abbiamo i responsabili dei dipartimenti, abbiamo i collaboratori negli uffici di presidenza, abbiamo esempi di coordinatori di corso, dei bienni e dei trienni, ecc. ecc. Tutti docenti i quali svolgono una funzione più complessa del semplice insegnare. Una ricchezza di ruoli e funzioni che fa a pugni con la dichiarata impossibilità di una carriera per i docenti all’interno della scuola. Si dice che tale operazione non è possibile per difficoltà economiche, per i tagli di organico, per le modeste retribuzioni. Il che è certamente vero. Bisognerebbe riconoscere, altresì, che ogni ipotesi di carriera è malvista da tanti docenti, restii a riconoscere a propri colleghi tale opportunità. Con motivazioni anche di tipo ideale, e cioè una pretesa frantumazione della funzione docente. Ma il vero ostacolo a ogni carriera dei docenti è il più delle volte lo stesso ds, il quale in tanti casi non rinuncia a nessuna delle attività alle quali è preposto. Ci sono ds i quali si vantano e si lamentano di partecipare a tutti i consigli di classe, di ricevere tutti i genitori, di conoscere tutti gli alunni, sicuramente i difficili che spesso curano personalmente, di relazionarsi con tutti gli interlocutori della “loro” scuola, dai servizi sociali ai rappresentanti delle case editrici. Se passano in una scuola molto grande o se gli tocca una reggenza, entrano in crisi. Sono, in genere, i ds migliori. Anche perché i loro colleghi che non hanno lo stesso stile e vocazione, non solo non si applicano con la stessa dedizione, ma non realizzano il coordinamento e il governo in nessun altro modo. E si vede.
Qualcuno sottolineerà che il ds proviene dalla docenza. Che nell’acceso dibattito ai tempi della definizione del nuovo ruolo del preside, si scontrarono due tesi opposte, una che vedeva nel dirigente della scuola un “semplice” dirigente amministrativo, l’altra che esaltava la sua funzione di leader educativo. Si è optato poi per la denominazione di dirigente scolastico. Senza approfondire troppo la natura della dirigenza e senza sciogliere una serie di nodi che puntualmente si ripresentano. Quando i dirigenti scolastici non c’erano ancora e li immaginavamo… Pensavamo a unità scolastiche complesse e a un dimezzamento del numero delle presidenze. Pensavamo a incarichi dirigenziali da parte dell’Amministrazione e non alla mobilità. Pensavamo a un reclutamento rigoroso di queste figure apicali e non ai soliti concorsi con sanatorie incorporate. Pensavamo a una retribuzione uguale a quella di altri dirigenti pubblici, con una parte significativa, legata alla posizione e al risultato. Pensavamo a un’articolazione nell’istituzione scolastica di ruoli, funzioni, collaborazioni, sia sul versante amministrativo sia su quello didattico. Pensavamo, noi presidi, e temevamo. Poi, come si sa, non è avvenuto niente di tutto ciò. E oggi siamo definitivamente in crisi perché se l’autonomia scolastica non è vera autonomia, la dirigenza scolastica non è vera dirigenza.
Rischiamo di chiudere una strada che non abbiamo percorso. Anziché dedicarci solo a discussioni accademiche, proviamo a riprendere in mano gli istituti contrattuali della dirigenza e rivisitiamoli in questi momenti critici, anzi drammatici. Il punto di partenza è un’articolazione complessa di ruoli e funzioni che vale per una istituzione scolastica di grosse dimensioni, forse non la semplice scuola. È questa articolazione che giustifica una dirigenza in senso pieno su ogni versante. Una dirigenza scolastica realizzata da persone che provengono dalla docenza, che provengono da una docenza “arricchita”, dalle articolazioni più alte della funzione docente, persone che si sono misurate con programmazione e territorio, risorse e organizzazione. Persone che possano esercitare la loro leadership educativa anche senza presenziare a tutti i consigli, forse neanche a tutti i collegi, anche senza conoscere personalmente tutti i ragazzi difficili, non avendo neppure il proprio ufficio vicino alle aule. Con quei chiacchiericci che disturbano e tranquillizzano. Se ci sembra troppo, lasciamo stare. Non ne parliamo più, della dirigenza.