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Il dialogo fra scienza e politica
provare anche in Italia ad avere un rapporto migliore, più proficuo e costruttivo, tra scienza, pubblico e potere
26/10/2016
la Repubblica
Giovanni Bignami
da POCHI giorni Obama ha nominato un team di ragazzini/ e nell’ufficio del suo Consigliere scientifico. Lo Science Adviser è una figura che i presidenti americani hanno da più di 70 anni, diventata un complesso ufficio della Casa Bianca e che adesso avrà anche le idee di bambini entusiasti (e geniali). Lo SA è, per definizione, indipendente dal Parlamento e ancora di più dalla maggioranza. Ogni presidente viene giudicato, dalla comunità scientifica Usa e da tutto il mondo, anche in base allo SA che sa scegliersi.
Gli scienziati americani apprezzano il dialogo, tanto che un importante fisico ha scritto un libro (in italiano Fisica per i presidenti del futuro)
per introdurre i candidati ai misteri dell’energia, delle armi atomiche, del clima. Al di fuori delle lobby ministeriali e industriali, e anche dei capi di Agenzie governative (come la Nasa), la comunità ci tiene ad un rapporto diretto con un capo ben informato.
Adesso il presidente cambia e l’autorevole direttore di Science suggerisce buone letture a chi verrà eletto (lui o lei, sia chiaro). Cominciando da un grande classico, proprio del primo Science Advisor, Vannevar Bush, il Manifesto per la rinascita di una nazione. Scienza, la frontiera infinita, dove per la prima volta compare il ruolo della scienza alla base della società moderna, soprattutto della scienza fondamentale, finanziata dai soldi pubblici. La “frontiera infinita”, ed altre opere di Bush, per apprezzare il rapporto scienza-società, ma anche le interazioni tra scienza accademica ed industriale e soprattutto l’importanza di pensare con una visione lunga.
Secondo Science, si tratta di una ricetta sicura per prepararsi a selezionare il prossimo SA e poter poi sfruttare al meglio i suggerimenti che da lei/lui riceverà. Certo, se dovesse essere Trump, il lavoro da fare sarebbe molto… ma l’importante sarebbe cominciare.
Sarebbe bello prendere spunto da questo particolare avvenimento negli Stati Uniti per provare anche in Italia ad avere un rapporto migliore, più proficuo e costruttivo, tra scienza, pubblico e potere. A noi, modestamente, sembra proprio che ce ne sia bisogno. Il potere viene dal pubblico, dai cittadini, e il potere (il governo, dai cittadini eletto) è quello che pianifica, finanzia e gestisce la ricerca scientifica, che in Italia è quasi solo pubblica. È quindi preciso dovere, innanzitutto, degli scienziati migliorare la vasta opera di comunicazione verso tutti, a tutte le età, all’americana, della importanza della scienza nella società. Si tratta di lavorare, trovare spazi e modi nel mondo multimediale, liquido ma ricco di opportunità, come insegna per esempio Piero Angela.
Più difficile, soprattutto recentemente, il terzo lato del triangolo, quello, diretto, tra scienza e potere. Il Gruppo 2003 (composto dai migliori scienziati italiani) ha identificato in due evidenti gaffe del governo, per di più ripetute a breve distanza, un sintomo di sfiducia profonda nei confronti del mondo accademico e degli enti di ricerca pubblici (sono parole di un loro recente comunicato). Sono i due episodi di Human Technopole, discusso anche da Elena Cattaneo, e della bozza di un decreto del presidente del Consiglio (addirittura) per istituire nuove cattedre universitarie, selezionate con ingresso a gamba tesa della politica nella libertà di insegnamento, sancita dalla Costituzione.
Sono due esempi, per fortuna facilmente rimediabili e forse già in via di rimedio, riconducibili ad una mancanza di dialogo costruttivo tra comunità scientifica e governo, dialogo al momento totalmente assente. Per questo, lo stesso Gruppo 2003 propone un “Patto per la formazione e la ricerca” tra comunità scientifica e governo: centomila professori e ricercatori italiani (che fanno il loro dovere, diciamolo con orgoglio) non possono essere sfiduciati per colpire le mele marce che nel mondo accademico certo ci sono, più o meno come in quello politico o altrove.
La base deve essere il dialogo, come quello che, negli Stati Uniti, lo SA
è preposto a stimolare e facilitare proprio tra il capo e la base scientifica. Non c’è niente da inventare: si deve parlare insieme di merito, di priorità scientifiche nel rispetto delle scelte politiche, di visione lunga da condividere e molto altro. Diamo un futuro ai ricercatori, non facciamoli scappare tutti.
L’autore, presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica fino al 2015, è membro dell’Accademia dei Lincei