La Costituzione della Repubblica italiana stabilisce, all’articolo 9, che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” ed, all’articolo 33, che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.” In pratica ciò significa che le istituzioni pubbliche di alta cultura e di ricerca devono essere messe dallo stato nella condizione di essere indipendenti da interessi politici, economici e di ogni altro genere – e ciò implica necessariamente e prima di tutto l’indipendenza economica. Nel nostro paese ci stiamo allontanando a passi da gigante da questo modello voluto dalla Costituzione e stiamo tornando ai tempi in cui lo scienziato e l’artista erano alle dipendenze del principe in una condizione di patronaggio.
In Italia oggi l’indipendenza della cultura e della scienza viene nei fatti progressivamente negata riducendo alle università ed agli enti di ricerca il supporto finanziario pubblico necessario per la loro sopravvivenza, riduzione soltanto parzialmente compensata da finanziamenti vincolati ad obiettivi governativi diversi dalla promozione della conoscenza od a contratti assegnati da entità private.
Ma vediamo alcune cifre. Nella Tabella 1 vengono riportati i dati sul finanziamento pubblico (del governo centrale e delle regioni), per ricerca e sviluppo (R&S). Si è passati da 9.778 milioni di euro del 2009 a 8.822 del 2012, con una diminuzione in termini monetari del 9,8 % ed in termini reali del 12,7 %. Va rilevato che i fondi per i progetti di ricerca universitaria (Prin, Firb, ecc.) sono passati nei quattro anni da 711 a 95 milioni di euro.
La situazione del CNR appare ancora più drammatica (Tabella 2).
Nel periodo tra il 2005 al 2014 il finanziamento del MIUR aumenta del 9,6%, da 548 a 600 milioni di euro (nell’assunzione tutta da verificare che nel 2014 le assegnazioni vincolate saranno di 100 milioni), cifra che, depurata dall’inflazione (nell’ipotesti di un tasso di inflazione dello 0,7% nel 2013 e dell’1% nel 2014), fa registrare una diminuzione del 5,3% (Tabella 2). Al contempo il finanziamento dell’attività ordinaria è sceso da 543 a 500 milioni di euro (del 20% in termini reali), mentre è aumentato in maniera esponenziale quello legato ad assegnazioni vincolate a specifici progetti ed obiettivi: di 20 volte nel decennio considerato, con una punta di 34 volte tra il 2005 ed il 2013. Va osservato, peraltro, che in non pochi casi il CNR svolge una funzione di agenzia, per cui i fondi assegnati all’ente in realtà rappresentano una partita di giro verso altre entità, pubbliche e private.
Le spese “cogenti” dell’ente, e cioè quelle relative agli stipendi ed al funzionamento della struttura (affitti, luce, gas, ecc.), sono dell’ordine dei 620 milioni. Nel 2014 mancano dunque all’appello 120 milioni di euro ed al momento ancora non è dato sapere a quanto ammonteranno le assegnazioni vincolate per il 2014.
Ciò significa che il CNR ha perso completamente la propria autonomia e che, per pagare gli stipendi e per aprile le porte dei laboratori di ricerca, deve passare per le forche caudine dei committenti che orientano la ricerca ai propri fini, non certo all’avanzamento delle conoscenze promosso dal mondo scientifico guidato dalla curiosità ed indipendente da qualsiasi interesse politico, economico, sociale. Non si può dunque criticare il CNR, come avvenuto in occasione della VQR e di articoli sulla stampa in cui l’ente è stato il bersaglio di attacchi ingiustificati, se non “produce” in maniera industriale pubblicazioni scientifiche sulle più prestigiose riviste internazionali.
L’esame dei bilanci è un processo intellettuale che consente di osservare la realtà da lontano, quasi con il distacco dell’entomologo. Ma, per percepire veramente la portata dei tagli, bisogna entrare nella carne viva e nella vita vissuta dai ricercatori che, ormai stremati dalla mancanza di fondi, sono costretti ad acquistare i prodotti e gli strumenti con i propri soldi, a chiedere un favore ad un amico per riparare la strumentazione, a caricarsi di tutta una serie di gravami impropri per portare caparbiamente avanti il proprio lavoro spinti dalla passione (come d’altra parte fanno gli insegnanti nelle scuole che portano a scuola la carta igienica). E bisogna anche tener conto del loro stato d’animo, come ben illustrato in un recente articolo sulla felicità degli economisti, in cui si mostra che il benessere dei ricercatori diminuisce con l’aumento delle pressioni esterne e con la contrazione del tempo da dedicare alla ricerca[1] Ma, usque tandem?
Il fatto che il CNR non dipende più dallo stato ma dal mercato si evince dal Grafico 1 in cui vengono riportate le entrate di bilancio dell’ente per il 2012. La metà delle fonti finanziarie (51,8%) è costituita dal Fondo di finanziamento ordinario del MIUR; le altre, se si escludono i contratti per i progetti europei del Programma Quadro che riguardano attività di ricerca e che incidono per un 5% del totale (va osservato che ormai Horizon 2020 non prevede più la ricerca di base, ma la finalizzazione a chiari obiettivi socio-economici), provengono da un insieme di attività tecnico-scientifiche che rientrano appieno nella missione dell’ente (servizi tecnici, trasferimento tecnologico, consulenze, ecc.), ma che non contribuiscono certamente ad un vero avanzamento delle conoscenze. E’ ovvio che queste attività “lucrative”, se non continueranno ad essere alimentate dalla ricerca “vera”, sono destinate anch’esse all’estinzione per mancanza di idee originali.
Questo è un punto molto importante su cui è bene fare chiarezza: è evidente che il CNR è chiamato, specialmente in questo periodo di crisi, a dare il proprio contributo alla soluzione dei problemi del paese sostenendo anche l’innovazione tecnologica delle attività produttive e dei servizi pubblici, ma il suo mestiere, il suo core business, è l’avanzamento delle conoscenze, e non, come troppo spesso richiesto dai politici e dagli operatori economici affetti da miopia, servizi tecnici à la carte.
Grafico 1. Entrate finanziarie del bilancio del CNR – Anno 2012
La lezione è dunque questa: lo stato sta progressivamente riducendo il proprio sostegno alla ricerca pubblica “privatizzando” le istituzioni pubbliche e, snaturandone l’essenza, sta via via forzando la scienza verso obiettivi utilitaristici e di breve periodo. Ma i cittadini italiani che se ne faranno di un’istituzione tal fatta? Ai suoi ricercatori non verrà più riconosciuta la competenza e l’indipendenza per svolgere quella preziosa funzione di scienziati che testimoniano i valori mertoniani in una società culturalmente avanzata e non imbarbarita dal dominio del Dio mercato. Prendiamo un caso recente: i nuovi esperti incaricati dal ministero della salute di valutare l’appropriatezza del protocollo Stamina sono in larga parte stranieri o affiliati all’università italiana, istituzione che, in questo paese, ancora conserva – ma fino a quando? – un profilo di competenza e di indipendenza; non ce n’è nessuno degli enti pubblici di ricerca, incluso l’Istituto Superiore di Sanità.
Continuando di questo passo l’Italia getterà a mare un patrimonio di saperi che ha accumulato con grande impegno e passione. Va ricordato che la nostra ricerca è – ancora – in quantità e qualità una delle più importanti al mondo (Grafico 2).
Grafico 2. Pubblicazioni e citazioni della ricerca italiana
I politici nostrani stanno da troppi anni contraddicendo la Costituzione che mette la scienza e la cultura al servizio dello sviluppo umano.
Ci vuole un totale ribaltamento della politica nazionale in linea con quanto hanno fatto, e stanno facendo, i paesi più virtuosi e lungimiranti nostri concorrenti sullo scacchiere globale – ma quante volte lo abbiamo detto, inascoltati, negli ultimi decenni?
[1] Feld L., Necker S., Frey B. (2013), Happiness of Economists, Freiburger Diskussionspapiere zur Ordningsokonomik, No. 13/7, Econstor.