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Il caos scuola. L’inutile bufera sugli insegnanti che non vorrebbero fare i test sierologici

Secondo i sindacati, la notizia di una scarsa partecipazione del personale scolastico allo screening clinico è gonfiata. Semmai il problema è per quelli che vorrebbero farlo e non ci riescono. Bisogna piuttosto ottimizzare il lavoro delle Asl, che saranno fondamentali per la ripartenza

28/08/2020
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Linkiesta
Irene Dominioni

Come se la ripartenza della scuola non fosse già abbastanza complicata, adesso ci si mettono anche i docenti. O almeno, questa è la narrazione che emerge dalla stampa di questi giorni. Gli insegnanti che durante il lockdown si erano spesi per assicurare la continuità didattica agli studenti, ora improvvisamente preferirebbero sottrarsi ai test sierologici (volontari) istituiti dal ministero per il controllo dell’epidemia. Secondo il Corriere della sera, addirittura uno su tre si rifiuterebbe di farlo.

«Spero che il Corriere abbia avuto questa informazione direttamente dal ministero della Salute. Penso che sia una notizia esagerata ad hoc per scaricare responsabilità che appartengono ad altri», spiega perentoria Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola, mentre parla con Linkiesta. «Credo che stia partendo una campagna alla quale siamo da tempo abituati: è già avvenuto con gli esami di Stato, dove la discussione verteva sulle richieste di malattia da parte dei docenti, tra quelli che non si volevano spostare e quelli che non volevano rischiare la maturità in presenza. Eccetto che poi gli esami si sono svolti regolarmente con le regole programmate dal protocollo, solo che in quel caso la cosa non è stata pubblicizzata come nei giorni precedenti».

I dati raccolti sono preliminari, visto che lo screening è iniziato da tre giorni e proseguirà fino al 7 settembre. Insomma, non appaiono definitivi, né tantomeno possono dare certezze in merito al comportamento degli insegnanti. «Ci sarà pure qualcuno che si rifiuta, come accade in tutte le situazioni sociali, basti pensare ai no vax, ma si tratta sicuramente di situazioni circostanziate. Il personale è già in servizio e tutti si stanno adoperando pancia a terra per far ripartire le scuole», prosegue Gissi.

«Piuttosto, se i docenti si rivolgono ai medici curanti e quelli non hanno i kit o indicazioni in merito, e li rinviano alle Asl, dove bisogna prenotarsi e i telefoni squillano a vuoto, i docenti sicuramente non vengono agevolati. A noi per esempio sono già arrivate denunce dalla provincia di Bergamo sull’enorme lasso di tempo che intercorre tra l’individuazione di una sieroprevalenza e l’effettuazione del tampone, ritardi che potrebbero persino impedire ad alcune unità di personale di entrare in servizio in tempo per l’apertura delle scuole. E sappiamo quali problemi porterà non avere il docente in classe il 14 settembre».

Per Anna Maria Santoro, responsabile del dipartimento scuola Flc Cgil nazionale, che l’adesione sia bassa significa poco: «si incrementerà nei prossimi giorni. La categoria sappiamo che tende a ridursi all’ultimo momento, è ancora un periodo di ferie. Noi comunque incentiveremo il test tra i docenti: con 1,2 milioni di addetti, è una prova anche per il paese».

Mentre Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, sottolinea come «il problema piuttosto è che due su tre che lo vogliono fare non ci riescono, c’è un problema tra le Asl e i medici di base su chi deve far fare il test. Molti medici di base non hanno dato la loro disponibilità per mancanza di spazi adeguati e simili. In Sicilia per esempio si parte solo domani e a Palermo solo in tre punti della città, per 10mila tra docenti e Ata».

Due milioni sono i test sierologici messi in campo per il personale scolastico. Adesso il criterio della volontarietà solleva la polemica, anche se ci sono esperti che già avevano avvertito sui rischi di lasciare che l’adesione fosse opzionale. In occasione dell’audizione del Comitato tecnico scientifico alla Camera, avvenuta ieri, lo stesso Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, ha dichiarato: «personalmente avrei reso obbligatori i test sierologici per gli insegnanti».

«Se la decisione è utile per garantire la condizione sanitaria del paese, i docenti, alla pari di tutti gli altri che lavorano in prima linea ed hanno rapporti con il pubblico, dovrebbero essere sottoposti a quello che viene deciso. Se si ritiene che il personale sia un fattore di rischio per la veicolazione dell’epidemia, ben venga che il test sia reso obbligatorio, ma poi iniziassero a sdoppiare le classi e a stanziare il triplo dei finanziamenti. È il cosiddetto debito buono, come ci ha ricordato Mario Draghi», dice Gissi.

«Sull’obbligatorietà perché per i docenti sì e non per il resto dei lavoratori allora? Discutiamone», commenta Santoro. Simile anche la linea di Pacifico: «Se il test deve essere obbligatorio, dovrebbe esserlo anche per gli studenti». La Flc Cgil è anche molto critica del protocollo di sicurezza per la ripresa delle attività didattiche: di tutte le proposte avanzate dai sindacati, l’unica ad essere stata adottata è l’Help Desk per le scuole.

Considerando che il test sierologico viene effettuato ai fini di screening e non di diagnosi (avere un risultato negativo agli anticorpi a distanza di giorni, se non di settimane, dall’inizio delle lezioni, non dà nessuna garanzia di non essere infetti al 14 di settembre), non è chiaro perché allora non si dovrebbero prevedere test rapidi all’ingresso a scuola, così come sta avvenendo negli aeroporti. «Su questo abbiamo chiesto una rilevazione direttamente al Cts per avere riferimenti e dati, e ci sarà una riunione a inizio settembre», dice la segretaria Cisl Scuola.

Considerando poi come l’età media dei contagiati si stia abbassando, e i ragazzi siano per la maggior parte asintomatici, ma comunque veicolo di contagio (gli adolescenti lo sono tanto quanto gli adulti, mentre solo i bambini più piccoli lo sono di meno), ancora non è chiaro perché non ci si dovrebbe focalizzare sugli studenti ancora più che sugli insegnanti. Ancora fumose sono le specifiche del campionamento che verrà intrapreso a scuola per individuare i positivi fra gli asintomatici.

«Abbiamo ipotizzato di fare dei cluster sia fra gli studenti che fra i docenti: non possiamo fare 8 milioni di tamponi o di test sierologici ogni due mesi, ma possiamo individuare periodicamente dei gruppi», ha detto ancora Miozzo. Si tratterebbe di una misura fondamentale per prevenire l’epidemia, invece di inseguirla, ma ancora le informazioni mancano.

Naturale, dunque, che i docenti vivano la ripartenza con preoccupazione, specialmente quelli con condizioni di salute più fragili (non solo e non tanto per l’età, che comunque li espone di più ai rischi del contagio): per loro non sono ancora state previste misure specifiche. «Noi abbiamo denunciato questa situazione durante il primo tavolo, ma il ministero continua a non dare risposte. La fragilità dovrebbe essere data da condizioni patologiche ben descritte, in modo da evitare distorsioni.

Bisogna stabilire qual è un accomodamento ragionevole per coloro che vanno sicuramente collocati in situazioni a minor rischio. Tenendo a mente che chi ha una patologia è comunque un docente a pieno titolo. Va dichiarato inabile? Se viene messo di ufficio in malattia perde la retribuzione? Come al solito c’è grande disattenzione e si preferisce mettere in giro notizie che alimentano un giudizio di superficie», commenta Gissi.

Guardare al comportamento dei singoli docenti, in conclusione, significa semplicemente solleticare la punta di un iceberg molto più grande, cioè l’intera macchina della scuola. «Noi invitiamo i docenti a fare il test, perché serve per riaprire con maggiore sicurezza. È un aspetto positivo che il governo ne abbia previsti 2 milioni, è una cosa che nel settore dell’istruzione non si è vista in nessun altro paese», conclude Pacifico.

«Ma la verità è che le nostre scuole subiscono una politica dei tagli che ha voluto risparmiare 10 miliardi all’anno negli ultimi dodici anni: il test non sopperisce al distanziamento e alla mancanza di risorse per attuarlo. 15mila plessi sono stati soppressi, quelli che tutti oggi cercano. Peraltro bisognerebbe riflettere sulla capacità operativa delle Asl: se ci sono difficoltà a fare test ora, cosa succederà quando le scuole saranno riaperte? Questo deve farci riflettere su come fare meglio».


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