Il bullismo sconcerta, ma la scuola merita di più
Non è vero che tutti gli alunni siano maleducati e tutti gli insegnanti inadeguati, al contrario. E il prossimo governo farebbe bene a garantire sedi e stipendi più giusti
Paolo Di Stefano
La nostra economia arranca, superata dai risultati spagnoli, la politica è in bilico e offre tutti i giorni uno spettacolo discutibile e persino nel calcio siamo arretrati al punto da non meritarci nemmeno i Mondiali. Siamo gli ultimi, siamo sempre gli ultimi, e spesso ce ne facciamo un vanto. Ma la scuola no, per favore. Nonostante tutto.
L’episodio di Lucca è sconvolgente: e la punizione proposta dal consiglio degli insegnanti è una punizione esemplare che forse aiuterà i responsabili diretti e indiretti a riflettere sulla gravità inaudita dei loro gesti. Speriamo, almeno, perché il tema, sempre eluso, della punizione educativa riguarda le famiglie prima della scuola. Pur tuttavia, il rischio ora è di semplificare accusando la scuola italiana di essere incapace di «formare» e/o di «educare». Non è così. Proprio adesso, nel pieno del marasma, verrebbe da dire: salviamo la scuola italiana. E salviamola anche dai (nostri) pregiudizi secondo cui la scuola fa schifo, i docenti sono pessimi e gli studenti (a parte i nostri figli) maleducati e violenti. Non è così. Basta andare a vedere. Seguire qualche lezione, parlare con gli insegnanti, entrare in una scuola elementare, in una media o in un liceo: conoscere, vedere e ascoltare. E non sto parlando delle cosiddette «eccellenze». Sto parlando delle scuole pubbliche delle periferie cittadine, del Nord, del Centro e del Sud. Per favore, salviamo la scuola dal nostro catastrofismo e dal sistematico tentativo di affossarla perpetrato dai vari governi, ciascuno con la propria riforma miracolosa. La prima riforma seria sarebbe quella che si impegna a ridare dignità ai maestri e ai professori, adeguando gli stipendi agli standard europei (dunque almeno raddoppiandoli) e si propone di rendere decorose strutture spesso indecenti in cui nessuno vorrebbe passare le sue giornate. Bisognerebbe partire da questi provvedimenti-base, riducendo le pretese sulle «offerte formative», per migliorare l’istituzione scolastica italiana. Evitando di aggiungere confusione alla confusione, riforme burocratiche soffocanti, didattiche pseudo moderniste (lo smartphone e l’inglese...), false soluzioni iper valutative o aziendaliste (i presidi-dirigenti) che misurano la qualità sulla quantità di «fruitori».
La realtà scolastica è molto complessa perché complesso è il mondo. Capita però, a me come a tanti scrittori e giornalisti, di frequentare la «scuola reale» per presentazioni di libri e incontri, di conoscere insegnanti e presidi. Pochi giorni fa sono stato invitato nell’ennesimo istituto, una media milanese della zona Stazione Centrale: ragazzi tra i 12 e i 13 anni, tre insegnanti donne che ponevano domande sul fare letteratura, sullo scrivere, sul rapporto tra scrittura e mondo, e sollecitavano quelle degli studenti. Scuola cosiddetta multietnica, con giovani africani, filippini, cinesi, sudamericani, oltre agli italiani. Ebbene, udite udite: erano ragazzi e ragazze vivaci, interessanti e attenti, rispettosi, qualcuno ha preso la parola per raccontare la storia della propria famiglia, qualcuno ha detto la sua (magari ingenua ma non generica) sulla società, sulla funzione della memoria, sulla necessità di ascoltare gli altri. Gli altri ascoltavano pazienti anche quando un compagno si dilungava in considerazioni un po’ cervellotiche. Le docenti hanno parlato senza retorica della solitudine e della tecnologia. Una scuola «normale», non d’élite e non di frontiera, in cui si percepiva subito il senso di una comunità intelligente. Un’eccezione? Le eccezioni sono purtroppo quelle che fanno notizia, anche se non hanno il clamore di quella di Lucca, con tutto ciò che si può aggiungere sulla «debolezza» o frustrazione o spaesamento di quel professore come di altri, e sul declino dell’autorità: ma quale ragazzo può conoscere il rispetto delle regole e il senso di responsabilità se non gli viene trasmesso dai genitori ben prima che dagli insegnanti, e se anzi è circondato da persone pubbliche e private che se ne fanno beffe ovunque nella vita collettiva?
Non so quante scuole «normali» ci siano in altri Paesi europei. Conosco abbastanza bene le scuole svizzere e posso dire che quel che le distingue davvero dalle nostre non è la qualità dell’«offerta formativa», ma le aule accoglienti e prive di umidità e di calcinacci, i cortili accessibili, i bagni funzionanti. Ciò che le distingue è soprattutto il livello economico (non quello culturale!) dei docenti e di conseguenza la dignità di cui godono nel contesto sociale. I problemi di bullismo esistono anche lì, così come le famiglie sempre più invadenti. Anche lì sono tempi difficili per l’istituzione scolastica. È vero che non c’è il tasso di dispersione scolastica che si registra in Italia, ma non si può pretendere che la scuola italiana, deprivata del minimo di sopravvivenza, ponga rimedio ai malesseri della società, con la sua povertà minorile, l’esclusione, le diseguaglianze eccetera. Del resto, alzi la mano chi ha sentito pronunciare la parola «scuola» durante la campagna elettorale. Dunque, un modesto consiglio al prossimo governo: niente riforme magniloquenti e risolutive, pensiamo ai fondamentali. Muri e stipendi, cioè decoro e dignità minima. Il resto verrà.