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I servitori dello Stato presi di mira dai tagli e dal Governo

La rivoluzione promessa dal ministro Brunetta è finita nel nulla: al posto di efficienza e modernità sono arrivati il blocco di contratti e salari ma anche insulti e licenziamenti. E il settore pubblico oggi scende in piazza

08/10/2011
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l'Unità

Bruno Ugolini

Sono quelli che il ministro Renato Brunetta ha etichettato, senza distinzioni, come fannulloni. Sono quelli che molti immaginano solo come un esercito di burocrati intenti a percorrere i corridoi ministeriali. E invece sono anche insegnanti, bidelli, ricercatori, vigili del fuoco, doganieri, impiegati comunali, infermieri, poliziotti. Sono quelli che una volta chiamavano “i servitori dello Stato”. Perché se questa macchina spesso sgangherata va avanti, malgrado i conducenti siano come presi da uno stato di ubriachezza, è proprio per loro. Come tante rotelline negli innumerevoli ingranaggi. Oggi presi di mira più di altri dalle manovre governative: il blocco dei contratti e dei salari, i veri e propri licenziamenti che colpiscono unaf olla di precari sfruttati per anni, l’attacco ai diritti, i tagli ai comuni e quindi i tagli a tanti servizi pubblici e conseguente enorme incremento di fatica per le “rotelline” rimaste. Nonè però vero che gli ubriachi al comando siano guidati dalla teoria del “meno Stato più mercato”. Quella che mister Cameron in Inghilterra chiama Big Society in Italia sta andando a rotoli. Basta vedere le proteste che si levano dalle associazioni del terzo settore, la cosiddetta “Confindustria del sociale”, dalle associazioni del volontariato. Tutti vittime della “manovra” anti- crisi. Altro che sussidiarietà tra pubblico e no profit. Eppure questo governo, col suo agitato ministro Brunetta, era partito lancia in resta, proclamando progetti che avrebbero dovuto rivoltare come un calzino la macchina dello Stato introducendo efficienza e modernità. Non è successo nulla o quasi di tutto questo. Eppure i sindacati avevano cercato di esercitare un ruolo non solo rivendicativo ma anche attento a problemi di produttività ed efficienza. Erano stati loro (con l’aiuto di un giurista importante come Massimo D’Antona, fulminato dalle Br) a battersi per privatizzare i rapporti di lavoro nel settore pubblico. Ad avanzare protocolli in cui si parlava ad esempio di mobilità controllata, di coinvolgimento dei cittadini nell’organizzazione dei servizi. Il ministro non ha cercato la strada della collaborazione (la famigerata concertazione). Ha umiliato il suo popolo, insultandolo, ha bloccato non soli i contratti ma anche l’elezione delle rappresentanze sindacali, rinviando le liquidazioni di fine lavoro. Cercando addirittura di superare quei criteri di contrattazione cari a D’Antona e ripristinando un sistema basato su leggine e clientele. Così, ad esempio, mentre tutti si riempiono la bocca sulla necessità di portare la contrattazione sindacale nei luoghi di lavoro - lui ha fatto tagliare i fondi necessari alla pur prevista contrattazione decentrata. Lo ha aiutato la ministra Gelmini licenziando 120mila persone precarie. E il ministro Sacconi con quell’articolo 8 teso smantellare lo Statuto dei lavoratori e con misure che aumentano l’età pensionabile delle lavoratrici. Una guerra nelle scuole contro il “sapere” che dovrebbe essere assicurato a tutti come strumento di libertà, una guerra per umiliare il lavoro considerando inutili i “servitori dello Stato”. Ora, dopo lo sciopero generale di settembre, scendono in piazza con la Cgil, si ribellano (e alla loro testa nel corteo saranno i precari) e tornano ad avanzare proposte .Un movimento che porta alla manifestazione nazionale di tutti il 27 novembre. Un movimento che coinvolge anche la Uil (con il pubblico impiego in sciopero il 28 ottobre) e la Cisl che convoca gli stati generali per il 12 di questo mese. È inutile rievocare l’autunno caldo, questa è una stagione ben più drammatica. Sono in gioco le sorti del Paese e delle sue forze migliori, quelle del mondo del lavoro.❖ 


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