I ragazzi non stanno bene
Le memorie di una quotidianità che era e non è più
Federico Taddia
«Lu. Viola. Marco. Lollo. Piero. Megghi e il Ferro. Ma anche i ballerini di break in centro, chi legge nel bar, i bambini che fanno volare i piccioni, i venditori di rose, i turisti che salgono la torre degli Asinelli, chi fa gli annunci prima degli spettacoli, i baristi che ti chiedono se vuoi il cacao sopra al caffè macchiato e il ragazzo che quel giorno che ero sulla panchina aveva detto che ero fichissima…». Anna, 18 anni, bolognese. Ecco uno stralcio del suo personale «Elenco delle persone che mi mancano per colpa della pandemia», scritto di getto in risposta al panico da nuovo lockdown.
Un elenco lungo, lunghissimo: nomi, situazioni, abitudini, istantanee, sfumature, memorie di una quotidianità che era e che non è più. Anna, come tutti gli adolescenti d'Italia. Quelli della "Generazione Z", ritrovatasi suo malgrado "Generazione Covid". Ma che dentro, in un sentimento inespresso, taciuto, compresso si sta rassegnando all'idea di essere la "Generazione Mi manca". «Mi manca Lucio, Mati, Nina, Bea, i ragazzi che ti prestano le felpe, chi ti offre un biglietto dell'autobus quando sei in difficoltà, chi ti abbraccia quando hai bisogno, chi ti chi ti dà dei campioncini nelle profumerie…» continua Anna nella sua litania, dolorosa e catartica, un ancora verso il passato che è un rilancio a noi adulti, quasi a dire – a dimostrare – quando sia vario e variopinto, semplice e complesso, profondo e leggero quel mondo – contradditorio per statuto – che è l'adolescenza. «Mi manca». È questo il beat della sofferenza, un beat che risuona nelle loro camerette, davanti ai loro schermi, in Dad, sul divano in salotto, nelle chat notturne, negli incontri clandestini al parco o al parcheggio dietro casa. Risuona negli spazi sempre più stretti da dividere con il resto della famiglia, nella borsa dell'allenamento appesa a un chiodo, nel biglietto del cinema dell'ultimo film visto, nella chitarra che non ne può più di essere suonata da sola, in quel rossetto che non ha alcun senso mettere se non se lo può mettere anche la mia amica.
Risuona negli abbracci non dati - nei baci non dati - nelle spinte per gioco, nel cuore che batte prima di un'interrogazione, nella mano stretta al fidanzato o alla fidanzata di nascosto dal resto del gruppo. Risuona nella scuola - imperfetta prima, inadeguata ora – nelle relazioni di classe, nel rapporto con i professori, nelle interrogazioni alla lavagna, nei compiti con la testa china sul banco, nella sigaretta in bagno, nelle confidenze a ricreazione, in un 4 in italiano, in un 8 in matematica – ma segnato con la penna sul foglio di carta – nelle gite di classe, nell'assemblea d'istituto e nell'ora buca salvifica in cui ripassare per la verifica. «Mi manca». È quello che silenziosamente urlano gli occhi di Sofia e Aron, Denise e Giorgia, Luca e Riccardo, Cheyenne e Matteo, tornando nei loro luoghi dell'anima.
Luoghi rimasti però senz'anima: perché vuoti, spenti, assopiti. Un campo da basket, una piscina, una sala da biliardo, le scale di una scuola, un club, un centro giovani. Ma potrebbero essere anche un oratorio, uno skatepark, una studio di registrazione, una biblioteca o il tavolo di un gelateria. Spazi sospesi – fortemente identitari – che oggi non rappresentano solo il puzzle dei passatempi dei giovani, ma disegnano una mappatura emotiva di vissuti messi tra parentesi.
E che nessuno – la scuola, i genitori, la politica – sa quando e come verranno restituiti. "I ragazzi non stanno bene", non solo è il titolo del progetto curato da "Parallelo Zero", è qualcosa di più: è una consapevolezza necessaria e urgente, che dobbiamo fare nostra. È responsabilità delle istituzioni, delle famiglie, delle agenzie educative prenderne atto per elaborare presto - e in maniera efficace – strategie e azioni di intervento. «Ho paura che mia figlia si stia abituando a tutto questo», ha detto un Fiorello commosso poche settimane fa, interpretando un timore diffuso e giustificato che risiede nella pancia di migliaia di madri e padri. Questo anno drammatico non verrà restituito a nessuno. Alle nuove generazioni però dobbiamo restituire la fiducia. È un impegno che dobbiamo fare nostro, è un patto generazionale da cui non possiamo tirarci indietro. Affinché i ragazzi possano stare bene. Affinché Anna - né ogni sua coetanea e ogni suo coetaneo - debba mai scrivere «Mi manca… il futuro».—