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I professori più vecchi d’Europa. Più della metà sono «over 50»

24/01/2015
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Corriere della sera

«Mi mandano un ragazzino quando ho bisogno di un uomo con grinta, baffi e barba da Mangiafoco…»: così si lagnò corrucciato il direttore scolastico accogliendo tanti anni fa il maestro Giovanni Mosca, che «aveva vent’anni ma ne dimostrava sedici». Il quale proprio grazie all’età riuscì a impadronirsi della sua classe abbattendo in volo un moscone con la fionda. Oggi non c’è pericolo che accada: dicono i recentissimi dati Ocse che nella scuola primaria (le elementari) gli insegnanti sotto i trent’anni sono talmente pochi da essere percentualmente irrilevanti. E così nelle medie e nelle superiori. Quelli sotto la quarantina sono il 12% alle elementari, il 13 alle medie, l’8 alle superiori. Sono dati immensamente diversi da quelli del resto del mondo. Basti dire che maestri e professori sotto i cinquant’anni («in due occasioni di compleanno ci si sente improvvisamente decrepiti: a diciannove anni e a cinquanta», ha scritto Gesualdo Bufalino) non arrivano ad essere secondo l’Ocse, nel complesso della nostra scuola, neppure la metà: il 48%. Tutti gli altri stanno sopra. E quelli sopra la sessantina sono addirittura l’11% alle elementari, il 13% alle superiori e il 15% alle medie. Tanto per capirci: 6 punti sopra la media dei Paesi Ocse e 7 (quasi il doppio) sopra la media delle altre nazioni europee. Per non dire della Spagna, del Giappone, dell’Irlanda, del Canada o del Belgio: i nostri «vecchi» sono il quadruplo.
L’«Annuario scienze società» 2015 di Observa curato da Giuseppe Pellegrini e Barbara Saracino, che uscirà a metà febbraio per il Mulino, ha una tabella su dati Eurostat-Teaching staff che mette i brividi. È sugli insegnanti con meno di quarant’anni nelle scuole secondarie di primo e secondo grado (tradotto nel linguaggio comune: medie e superiori) in tutta Europa. Con un umiliante 10,3% siamo ultimissimi. Austria e Germania ne hanno due volte e mezzo più di noi, Spagna e Francia il triplo abbondante, il Belgio il quadruplo, la Gran Bretagna il quintuplo.
«La struttura per età», spiega l’associazione TreeLLLe presieduta da Attilio Oliva, «ci racconta la storia delle politiche di reclutamento del corpo insegnante. I dati mostrano una più ampia incidenza della quota dei 50-59enni evidentemente entrati negli anni ‘80, che “schiaccia” gli ingressi delle corti più giovani, costituite dai neolaureati. Stupisce che anche la scuola primaria, in passato luogo d’ingresso di giovani insegnanti meno che trentenni, oggi a seguito dell’introduzione dell’obbligo di possesso di un titolo universitario in combinazione con la mancata apertura dei canali di reclutamento, vede la scomparsa di insegnanti giovani».
Nel decennio dal 1998 al 2009 i maestri britannici e francesi sono «ringiovaniti» da un’età media di 41 anni e mezzo a 40 e mezzo, i nostri invecchiati da 44,5 a 47,5. E dal 2009 a oggi questa età media è salita ancora fino a 53 anni e 3 mesi nella scuola primaria e addirittura a 54 in quella dell’infanzia. Il che significa un gran numero di «nonne» sessantenni, magari con le caviglie gonfie e il fiatone, chiamate ciascuna per ore a gestire venti «nipotini». A volte, un inferno.
La rivista Tuttoscuola ha messo a confronto le fasce d’età negli ultimi tre lustri. Nel 1997/98, spiega il direttore Giovanni Vinciguerra, «oltre un quarto degli insegnanti, esattamente il 26,2%, aveva un’età inferiore ai 40 anni. E solo il 2,4% passava i sessanta: uno su venti. Da allora si sono succedute varie riforme previdenziali che hanno avuto effetti determinanti sul turn over del pubblico impiego e del personale della scuola». Prima conseguenza, appunto, l’invecchiamento dei docenti. Vistosissimo nel 2014, quando il documento governativo sulla «Buona Scuola» confermava che l’età media degli insegnanti statali era 51 anni: «Un invecchiamento medio di quasi 6 anni, che è come dire che ogni anno l’età media si è andata innalzando di cinque-sei mesi». Tanto più che «nello stesso periodo delle riforme previdenziali la mancanza di concorsi, congelati per oltre un quinquennio, non consentiva di attingere a nuove leve più giovani e le chiamate dalle graduatorie ad esaurimento privilegiavano i precari più anziani».
Esattamente quello che accadrà anche quest’anno con l’assunzione promessa da Renzi di 154.561 precari che, come spiegava qualche settimana fa Orsola Riva, tutto saranno fuorché «insegnanti freschi di laurea e abilitazione perché le graduatorie sono chiuse dal 2007. I più giovani sono i maestri laureati in Scienze della formazione primaria, ma il grosso è rappresentato dai vincitori del penultimo concorso (parliamo del 1999!) e dagli abilitati di vecchio conio (Ssis e abilitazioni riservate)».
L’età media, dice «La buona scuola», è di 41 anni e «diventa chiaro che la loro assunzione consentirà di ringiovanire sensibilmente il corpo docente». E anche di renderlo, viste le percentuali di donne, ancora più femminile. Difficile definirla però, come ricordava il Corriere , «un’iniezione di giovinezza». Lo dice lo stesso grafico del documento governativo, dove spiccano le assunzioni anche di precari sessantacinquenni... Persone che sono certamente in credito con lo Stato chiamato a saldare il suo debito, come ci ha ricordato l’Europa, dopo decenni di caos, rattoppi e sanatorie. Ma anche, stando alle denunce del sito voglioilruolo.it , maestri e professori che ormai se l’erano messa via e magari hanno perduto da anni la confidenza con le aule, la lavagna, il rapporto con gli allievi. Si sono aggiornati? Possiedono le competenze d’inglese e informatica richieste dalla legge Profumo? Hanno continuato incessantemente a studiare o hanno buttato rabbiosamente i libri in un angolo?
E proprio qui è il nodo: fermi restando i torti dello Stato e la legittimità delle aspettative di centinaia di migliaia di insegnanti precari, hanno diritto o no, i nostri bambini e i nostri ragazzi, a una scuola che dia la precedenza a loro, gli utenti? E cioè una scuola che offra loro un corpo docente ricco di entusiasmo e che sia il meglio del meglio in modo che poi quei giovani possano affrontare ad armi pari i «concorrenti» stranieri in un mondo sempre più competitivo? Questo è il tema. E se non viene affrontato di petto, subito, sono guai seri…
(2 — fine)

 


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