I prof precari cancellati da una sentenza
Addio ai precari ma non ai supplenti
Gianna Fregonara
Ad agosto gli insegnanti neoassunti potrebbero dover superare un vero e proprio colloquio di lavoro con il loro futuro preside per ottenere la cattedra. Non basterà aver passato il concorso e disporre di qualche titolo di merito.
I l governo ha annunciato ai sindacati i nuovi criteri e i tempi per ottenere la cattedra: ad agosto gli insegnanti neoassunti potrebbero dover superare un vero e proprio colloquio di lavoro con il loro futuro preside. Non basterà aver passato il concorso e disporre di qualche titolo di merito grazie a corsi e iniziative volontarie. Ogni scuola, ogni dirigente formerà la squadra a suo piacimento, anche se poi gli insegnanti scartati potrebbero essere assegnati al medesimo istituto in un secondo giro gestito dall’Ufficio scolastico regionale, non è chiaro con quali effetti sull’efficienza della squadra.
In attesa di capire i risvolti di questa rivoluzione dell’autonomia, contestatissima dai sindacati e temuta da buona parte degli insegnanti, da ieri è sceso definitivamente il sipario su una categoria della pubblica amministrazione: quella dei «precari storici» della scuola italiana che ha costituito per quasi vent’anni un’anomalia istituzionalizzata da una legge del 1999. In linea di principio non ci saranno più insegnanti che per decenni vagano di scuola in scuola o anche solo di classe in classe ogni anno senza avere anzianità, né diritti né continuità nell’insegnamento. Non si leggerà più di quei professori che diventano di ruolo a fine carriera, appena prima della pensione.
A stabilire così è stata la Corte Costituzionale con la sentenza pubblicata ieri (relatore il giudice Giancarlo Coraggio) riconoscendo che la riforma dell’anno scorso è stata una sanatoria: se assunti o ammessi al concorso non hanno diritto ad altri risarcimenti per il danno subito in questi ultimi anni. Una somma in denaro andrà soltanto al personale amministrativo, gli Ata, non compresi nella sanatoria e a quanti, pur avendo insegnato per più di tre anni in una cattedra libera e disponibile, non hanno trovato spazio in questo mega piano di assunzioni. Un piano che riguarda circa centoquarantamila insegnanti retribuiti con una spesa aggiuntiva per il bilancio pubblico di tre miliardi l’anno e la creazione anche di nuove figure di insegnante con i posti in più di professori senza cattedra, assunti per occuparsi di iniziative speciali ed eventualmente di una parte delle supplenze.
La Corte fissa anche alcuni paletti che dovranno guidare d’ora in poi le norme sulla scuola: se usare i supplenti quando ci sono cattedre libere per oltre tre anni è incostituzionale, non esiste però un diritto all’assunzione senza il concorso previsto dalla Costituzione.
Sarebbe però sbagliato pensare che con la sentenza e la riforma sia scomparsa quella definita dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini la «supplentite»: scompaiono giustamente i precari più vecchi, ma a settembre, come è già avvenuto lo scorso anno, i ragazzi si troveranno in classe di nuovo tanti supplenti. O almeno così c’è da temere, visto che il concorso procede a rilento e alcuni orali sono in programma in autunno. Circolano anche le prime stime sui risultati: la metà degli aspiranti professori sarà bocciata. Alla prova scritta in alcune classi di concorso la percentuale dei respinti ha sfiorato l’80 per cento.
Impreparazione dei candidati o procedure pasticciate e domande confuse, questo lo si capirà quando si placheranno le polemiche che per adesso stanno producendo ricorsi e petizioni. Quel che è certo è che mancheranno ancora quegli insegnanti di cui la scuola italiana ha più bisogno, nelle materie nelle quali è più debole e delle quali gli studenti avrebbero maggior bisogno: le lingue straniere, le materie scientifiche e specialmente quelle di laboratorio, il sostegno per i ragazzi e le ragazze che hanno diritto a un aiuto extra. Addio ai precari ma non ai supplenti: un altro paradosso italiano.