I prof con la valigia. L’esodo forzato dalla «Buona Scuola»
Oggi scadono i termini per l’assunzione: in migliaia costretti a lasciare il Sud e le isole pena la perdita del posto di lavoro. Protesta all’aeroporto di Cagliari: «Se andremo a insegnare fuori dalla Sardegna, parleremo in sardo»
Se saranno costretti a insegnare fuori dalla Sardegna, in classe parleranno «chistionausu in limba», cioè parleranno in sardo con gli studenti. Questa è la forma di protesta scelta da un gruppo di docenti che ieri hanno organizzato un flash-mob all’aeroporto di Cagliari-Elmas per opporsi all’«esodo» forzato a cui la «buona scuola» di Renzi costringerà decine di migliaia di prof neo-assunti a partire dal 2016. Al sit-in organizzato dal movimento «Unidos» ieri qualcuno si è anche presentato con il costume tipico di Quartu, mentre altri docenti hanno portato un bronzetto nuragico.
Sullo striscione lungo 15 metri esposto in uno dei corridoi dell’aeroporto c’era scritto: «Scuola sarda No Trolley». I partecipanti al sit-in hanno mostrato una valigia, così come avevano già fatto lunedì scorso, quando hanno manifestato sotto la sede del Consiglio regionale a Cagliari. La protesta che in questi giorni sta attraversando tutto il paese, e il Sud in particolare, riguarda i docenti che saranno assunti nelle cosiddetta «fasi B e C» (oggi scade il termine per presentare la domanda online sul sito del ministero) è stata tradotta in chiave localistica.
Determinante per gli organizzatori dell’iniziativa sarda è la richiesta «al governo di una deroga alla mobilità per la Sardegna in ragione dell’insularità» ha detto il rappresentante dell’Unidos Mauro Pili. L’accusa è rivolta alla regione governata dal Pd Francesco Pigliaru: «Sono degli incapaci — sostiene Pili — Si sono accorti del rischio di perdere mille posti di lavoro un giorno fa e adesso a Roma non gli rispondono nemmeno al telefono. Latitanti assessore e Presidente, incapaci di una benché minima risposta. Una regione priva di qualsiasi autorevolezza e capacità di incidere sulla vertenza».
In realtà, l’assessora all’Istruzione Claudia Firino ha provato a sollevare il problema con il governo. Giorni fa ha inviato una lettera alla ministra dell’Istruzione Stefania Giannini in cui ha chiesto un incontro. «È innegabile che la condizione di insularità della Sardegna, la regione più distante dal resto del territorio nazionale, renda più gravoso dal punto di vista sia economico che sociale l’eventuale trasferimento in altra sede» ha scritto Firino.
Il governo ha risposto, moltiplicando la rabbia prodotta da uno degli aspetti più controversi della riforma targata Pd-Renzi. In risposta alla lettera di Firino, il sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi ha troncato di netto la discussione: «Non è possibile avere per tutti il posto sotto casa». La risposta che ha irretito ancora di più gli animi, dato che quello che si contesta al Miur sono i criteri dell’assegnazione delle 48.812 cattedre su posto comune, delle 6.446 per il sostegno, più altre imprecisate migliaia di posti non assegnati nelle fasi precedenti per l’esaurimento delle graduatorie. Si parla di docenti che lavorano da anni nelle graduatorie provinciali, con un’età media superiore ai 40 anni che, all’improvviso, dovranno affrontare la spesa imprevista di un doppio affitto (o un mutuo), dividersi dalle famiglie, separarsi da relazioni, affetti per essere catapultati in realtà sconosciute che affronteranno con uno stipendio medio da 1.300/1.400 euro. Tra l’altro, è a rischio la loro professionalità. Problemi che riguardano tanto i sardi, quanto i calabresi che potrebbero finire a Belluno o i pugliesi in provincia di Cremona. Tutti dovranno pagare di tasca propria il ricatto. Se rinunceranno, perderanno il lavoro.
Ieri i sindacati della scuola sono intervenuti in forze. Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) contesta al sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone la disinformazione contenuta nelle sue interviste. «Se è vero quello che dice — sostiene Pantaleo — ci troveremmo di fronte ad un sistema che garantisce ai docenti in fascia C la prima provincia scelta ad alcuni aspiranti, mentre a chi non riuscisse ad ottenerla, non garantirebbe neppure le successive. Le stesse sarebbero già occupate da altri che le hanno indicate per prime, pur avendo una posizione inferiore in graduatoria».
Il caos è stato moltiplicato da una serie di «Faq» leggibili sul sito del Ministero dell’Istruzione che hanno confuso le idee in un sistema arbitrario. La Flc-Cgil chiede l’unificazione delle «fasi B e C» e il rispetto della «ripartizione al 50% tra le procedure per rispettare le posizione nelle graduatorie di tutti gli aspiranti». Chiesta inoltre una proroga per fornire ai docenti almeno gli elementi per compiere una scelta consapevole. Anche l’Anief critica «l’isolazionismo del Miur nei confronti delle richieste dei docenti». Entro le 14 di oggi circa 70 mila docenti precari saranno costretti a giocarsi la vita sulla ruota della fortuna di Renzi.