«I Mooc non sono stati uno tsunami» Lauree online, autocritica di Harvard
Secondo il presidente del prestigioso Ateneo americano hanno deluso le aspettative. I dubbi di Berkeley: gli studenti non seguono e non sono un mezzo per democratizzare lo studio
No, i Mooc non sono stati uno tsunami come aveva previsto quattro anni fa perfino il presidente di Harvard John Hennessy. E’ lui stesso a rivedere al ribasso il suo entusiasmo verso i corsi online aperti a tutti da cui l’acronimo Mooc che sta per «massive open online courses», che avrebbero dovuto rendere accessibili a milioni di studenti ovunque le lezioni dei più grandi e importanti professori universitari di tutto il mondo. Non che non siano serviti a nulla, anzi, sono stati rivoluzionari per il modo di studiare. «Soprattutto per i laureati che già lavorano in un settore specifico le lezioni online si possono considerare un vero e proprio successo», ha detto Hennessy a metà aprile aprendo il quarto «Learning summit» organizzato da Harvard, Stanford, Berkeley e Mit, ospitato quest’anno a Stanford o e intitolato «Inventare il futuro degli studi universitari». Ma non hanno avuto l’effetto tsunami che doveva spazzare via la vita del campus e il ruolo delle Università con il rapporto diretto con i prof e gli altri studenti, i tutor e le biblioteche.
La rivoluzione digitale
Secondo Hennessy, che è ingegnere di formazione ed è stato uno dei pionieri dell’ingresso massiccio di internet e del digitale nell’innovare le istituzioni universitarie americane, per quanto riguarda il rapporto tra educazione e digitale siamo ancora «in un periodo di grandi sperimentazioni». E mentre è ovvio che non ci sarà più istruzione senza l’apporto ormai insostituibile delle tecnologie digitali, è altrettanto chiaro che i Mooc non sono la soluzione, o almeno l’unica soluzione.
Il campus è insostituibile
La delusione delle aspettative legate ai corsi online riguarda non solo il fatto che i corsi non hanno sostituito le lezioni tradizionali ma anche di aver mancato - come ha sottolineato anche il direttore dell’Università di Berkeley Nicholas Dirk - quell’obiettivo di democratizzare l’insegnamento universitario rendendolo accessibile a tutti e ovunque. Hennessy oltre a ricordare che uno dei fattori di insuccesso è il fatto che «gli studenti sono troppo diversi tra di loro per poter avere, a livello universitario, corsi di massa che risultano troppo superficiali per alcuni e troppo complessi per altri», ha citato uno studio che dimostra che gli studenti che seguono corsi online hanno una media di attenzione di 6 minuti e mezzo dopo i quali si distraggono: «Molti studenti pensano di essere “multitasking” ma non lo sono», ha concluso il presidente di Harvard. Non solo, sopratutto per gli studenti che vengono da contesti socio-economici svantaggiati, l’attività di tutoraggio, il supporto dei professori e il rapporto personale dentro il campus risulta fondamentale e insostituibile.
Il boom dei Mooc
I corsi online hanno avuto il loro massimo successo a partire dal 2011 quando anche la principali università americane hanno deciso di sperimentare le lezioni a distanza - non sempre interi corsi di laurea -, ma già dal 1989 c’erano università come quella di Phoenix che avevano introdotto interi corsi di laurea online. Per gli atenei di lingua inglese, l’idea dei corsi di laurea online, oltre a democratizzare, poteva aprire nuovi mercati, innanzitutto quello indiano.
La laurea «selettiva»
Quale può essere il futuro in questo campo? A sentire Hennessy i Mooc potranno essere almeno in parte sostituiti dai Lsoc, large selective online courses. Tutta un’altra storia, che comporta un’educazione «ibrida» fatta di lezioni personalizzate e di parti online, in cui la tecnologia dominerà ma senza trasformare il curriculum universitario in una serie di corsi sconnessi. Sarà, in altre parole, un’educazione molto più costosa.