I giorni perduti della scuola
Viola Ardone
Se esistesse un "Archivio dei giorni perduti", alla voce "scuola" bisognerebbe aggiungere 112 miliardi di pagine. Tanti sono i giorni di didattica in presenza che bambini e ragazzi di tutto il mondo hanno smarrito dall'inizio della pandemia, esattamente un anno fa. E se i giorni di scuola perduti fossero pagine, messe l'una sull'altra, formerebbero un'enorme biblioteca. La biblioteca della disuguaglianza. Ma le scuole non sono chiuse, obietterà qualcuno, perché c'è la Dad.
Tramite computer, tablet e telefonini, la Didattica a distanza (Dad) ha permesso di continuare a insegnare in modi diversi e spesso più moderni. E i docenti non hanno perso nemmeno un giorno di lavoro, sottolineeranno i miei colleghi, perché la fatica di gestire lezioni a distanza ha raddoppiato il loro impegno, piuttosto che diminuirlo. Tutto vero, tutto giusto. Eppure quei giorni di scuola perduti per moltissimi studenti rappresentano un danno che, a quanto sostiene un recentissimo rapporto di Save the Children, sarà difficile - se non impossibile - risarcire.
L'interruzione delle lezioni in presenza, secondo l'Organizzazione internazionale rivolta all'infanzia, ha evidenziato una ragnatela di differenze sia a livello planetario sia locale: gli studenti dell'America Latina, dei Caraibi e dell'Asia meridionale hanno smarrito mediamente 110 giorni di istruzione, quelli del Medio Oriente 80, quelli dell'Africa subsahariana 69, quelli europei circa 45. In Italia, gli studenti hanno potuto frequentare in presenza per molto meno della metà dei giorni previsti dal calendario scolastico. Da settembre 2020 a fine febbraio 2021, i bambini delle scuole dell'infanzia a Bari, per esempio, sono stati in classe 48 giorni su 107, i loro coetanei di Milano tutti i 112 giorni. Gli studenti delle medie a Napoli sono andati a scuola 42 giorni su 97 mentre quelli di Roma sono stati in presenza per tutti i 108 giorni previsti.
Si tratta, evidentemente, di misure volte a tutelare la salute di studenti, personale scolastico e famiglie. Eppure la lettura di questi numeri ci pone delle domande. Che cos'hanno perso, concretamente, questi
milioni di studenti nel mondo? A che cosa hanno dovuto rinunciare bambini, ragazzi, famiglie? È proprio vero che la scuola non è "produttiva" e che quindi può essere demandata al web senza grandi perdite per nessuno? E soprattutto, si potevano mettere in campo strategie volte a preservare la didattica in presenza?
I giorni smarriti della scuola sono quelli che non ritorneranno per bambini e ragazzi che hanno trascorso ore, giorni, mesi nel chiuso delle loro camerette, nei casi più felici, o accampati in tinelli, angoli della cucina e strapuntini in soggiorno, aggrappati a connessioni internet ballerine e a strumentazioni informatiche obsolete. I giorni perduti della scuola sono quelli in cui non hanno messo piede fuori casa, non si sono confrontati con i loro pari e con i docenti, non hanno compreso un argomento ma non hanno avuto modo, voglia, coraggio di alzare la manina virtuale per chiedere una spiegazione ulteriore. Nel peggiore dei casi, i giorni perduti della scuola sono quelli in cui tanti adolescenti hanno abbandonato le lezioni e sono stati risucchiati da altre attività, spesso illecite. I giorni perduti della scuola sono quelli in cui bambini e giovani a rischio non hanno avuto altra alternativa che rimanere in casa, in un contesto fatto di violenze familiari, liti, devianza. I giorni perduti della scuola sono quelli in cui molti genitori, spessissimo madri - come emerso da un altro recente rapporto - hanno dovuto sacrificare il lavoro per rimanere accanto ai figli, troppo piccoli per stare da soli davanti a un computer. I giorni perduti della scuola sono quelli che avremo davanti agli occhi tra qualche anno, quando le differenze tra Paese e Paese, tra regione e regione, tra città e città, tra rione e rione, tra famiglia e famiglia si faranno evidenti nel futuro di questi bambini e di questi ragazzi. Solo allora, nell'Archivio dei giorni perduti, le ore di scuola mancanti si trasformeranno in pagine e pagine di disuguaglianza. —