I dubbi dei rettori sul «federalismo» delle lauree
«Una cosa è dare il giusto valore alle cose, un'altra eliminarlo del tutto».
ROMA — «Una cosa è dare il giusto valore alle cose, un'altra eliminarlo del tutto». Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano, ha qualche dubbio sugli interventi allo studio del governo per le università. Le ipotesi sono due. La prima è l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Se ne parla da anni, Luigi Einaudi ci scrisse un libro, ma cosa vuol dire davvero?
La laurea presa a Milano e quella presa Roma non avrebbero più lo stesso valore per legge ma sarebbe la reputazione delle due università a fare la differenza. Il piano «B» va nella stessa direzione ma in modo soft perché eliminerebbe il voto di laurea dal calcolo del punteggio nei concorsi pubblici. Il ragionamento di fondo è lo stesso: ci sono università buone e altre meno buone, un 110 non ha lo stesso valore se viene preso in un ateneo di tradizione o in una delle tanti sedi distaccate germogliate negli ultimi anni. E allora, pensa il governo, meglio eliminare quella eguaglianza prevista oggi per legge nel settore pubblico. Anche il rettore della Sapienza di Roma, Luigi Frati, ha molti dubbi: «In alcune aree, come per i medici e gli architetti, è impossibile perché il valore legale è previsto da norme europee. Ma poi, scusate, non è che così diamo mani libere alla politica che ha l'antico vizietto di mettere le mani sulle assunzioni nel pubblico?». Ma non è sbagliato che chi si laurea in una pessima università, dove prendono tutti la lode, sia alla pari di chi ha faticato in un buon ateneo e si è dovuto accontentare di un 100? «Sì, ma allora è meglio stringere i rapporti con il mondo del lavoro. Noi alla Sapienza abbiamo un accordo per far fare in azienda una parte della tesi. E l'imprenditore uno studente mediocre non lo vuole mica». Il suo collega milanese Decleva, però, vede una prospettiva: «Non buttiamo via il bambino con l'acqua sporca o almeno prima mettiamoci un po' di detergente». Il detergente? «Se eliminiamo il valore legale dobbiamo avere un altro strumento per capire quali sono i corsi buoni e quelli meno buoni. Per questo un anno fa è nata l'Anvur ma credo abbia ancora molta strada da fare». Quanto sia lunga lo chiediamo a Stefano Fantoni che dell'Anvur (Agenzia per la valutazione del sistema universitario) è il presidente: «Dal prossimo anno accademico saremo in grado di fare una prima valutazione dei singoli corsi. Ogni corso dovrà essere accreditato e non diremo un sì o un no secco ma esprimeremo un giudizio». Basterà questo per sostituire il valore legale? «Non lo so, la decisione spetta alla politica. Per arrivare a una valutazione completa dei singoli corsi e delle singole università avremo bisogno di più tempo». Si può fare, allora?
Salvatore Settis è stato per anni direttore della Normale di Pisa, uno dei simboli dell'eccellenza italiana, ma è proprio alla base della piramide che rivolge il suo sguardo: «In linea di principio sarebbe una buona cosa ma c'è il rischio di concentrare le risorse sulle università migliori emarginando tutte la altre. E questo vorrebbe dire introdurre un meccanismo di diseguaglianza tra i cittadini che si possono permettere quelle università e tutti gli altri. Ci vorrebbe un piano straordinario di borse di studio. Ma con questa crisi sarà possibile?».
Lorenzo Salvia