I corsi low cost delle università
Gli atenei low cost, da Camerino alla Sapienza
La «rivoluzione», piccola piccola per ora, parte dalle Marche. Da un ufficio dell'Università di Camerino — 6.742 iscritti nell'ultimo anno accademico — dove lavora Flavio Corradini, il rettore. «Mi affaccio ogni giorno alla finestra e vedo un territorio dove le aziende chiudono una dopo l'altra», esordisce il numero uno dell'ateneo. «Migliaia di persone vengono lasciate a casa e sempre più ragazzi si fermano al diploma perché non ci sono più i soldi. Tra i figli che se ne vanno all'estero e quelli che restano qui ma che non riescono a studiare, che ne sarà di questo Paese tra pochi anni?».
E allora ecco la decisione. «Un giorno mi sono presentato al Senato accademico e al Consiglio di amministrazione e ho fatto una proposta votata all'unanimità»: i «figli della crisi» — come li chiama Corradini — «quelli che vivono nel territorio e hanno uno o entrambi i genitori disoccupati, in mobilità o in cassa integrazione non pagheranno le tasse» del primo anno. I soldi, chiarisce il rettore, «ce li mette l'ateneo di Camerino. Ma ben vengano anche le donazioni degli imprenditori».
L'ateneo marchigiano, assieme agli altri in tutta Italia, deve fare i conti con quello che è successo negli ultimi anni nel nostro Paese, quando si è passati dai 319.070 immatricolati del 2003/2004 ai 227.938 del 2012/2013. Ed è anche per questo che il «modello Camerino» ha suscitato l'interesse di altre università. Quella di Foggia, per esempio, ha deciso di fare lo stesso su proposta del rettore Giuliano Volpe. «È il nostro modo per dare una risposta istituzionale a una situazione di oggettiva difficoltà economica e sociale», ragiona Volpe. E allora niente retta universitaria per un anno non solo per le matricole, ma anche per i ragazzi già iscritti. «Può succedere — spiega il rettore pugliese — che le difficoltà economiche si presentino nel corso dell'anno, mentre dall'indicatore della situazione economica risulta il reddito dell'anno precedente».
Corradini e Volpe sanno però che questo non basta. E per questo fanno appello al governo. Che per ora, nel cosiddetto «decreto del fare», ha stanziato per il prossimo anno 30 mila borse di studio di circa 5.000 euro per gli studenti italiani meritevoli, per favorirne la mobilità negli atenei lontani da casa. Troppo? Poco? È presto per dirlo.
Intanto da Nord a Sud le iniziative anticrisi degli atenei non mancano. I fronti sono diversi, ognuno si muove a seconda della propria dotazione finanziaria. E così, se l'Università di Bergamo ha deciso di bloccare le tasse universitarie, la Statale di Milano ha optato per una riduzione «graduale» per tutti gli iscritti con un Indicatore della situazione economica equivalente fino a 40 mila euro, con il chiaro intento di «alleggerire gli oneri a carico delle fasce più deboli». A Venezia Ca' Foscari hanno deciso di anticipare i fondi per le borse di studio (che vengono dati dalla Regione) proprio per fare in modo che gli studenti che la vincono abbiano i soldi praticamente subito. Bologna, invece, ha aumentato la soglia delle fasce di contribuzione ridotta. Una mossa seguita anche da altri atenei.
Doppia novità per la Sapienza: sconti dal 20 al 30% nelle immatricolazioni per chi ha fratelli o sorelle già iscritti allo stesso ateneo e nessuna prima rata per chi si è diplomato con 100. Roma Tre, invece, prevede la magistrale (il cosiddetto +2) gratis per chi si laurea con 110 e lode nella stessa struttura.
Secondo Daniele Checchi, docente di Economia alla Statale di Milano ed esperto di istruzione, queste sono iniziative che aiutano sì gli studenti, «ma bisognerebbe permettere loro di pagarsi anche tutto il resto: il vitto, l'alloggio, i trasporti». Il professore pensa che sarebbe ancora più efficace istituire una sorta di «salario» sotto forma di borsa di merito. Ma, ammette, «questo tipo di politica in Italia stenta sempre a decollare».
«Ben vengano le agevolazioni», aggiunge Andrea Ichino, docente di Economia politica all'Università di Bologna, «ma il vero aiuto ai "figli della crisi" è quello di far pagare tasse più alte a quelli dei ricchi». Ichino ha scritto, insieme a Daniele Terlizzese, il libro «Facoltà di scelta — L'università salvata dagli studenti». Per rimuovere i vincoli economici, scrivono i due autori, bisognerebbe prevedere un finanziamento per gli studenti meritevoli. Una sorta di «mutuo» che dovrà essere restituito quando e se si avrà la possibilità. «Per avere più risorse — continua Ichino — le università italiane devono aumentare la propria qualità. Solo così potranno attirare fondi da usare poi per aiutare chi ha bisogno».
Leonard Berberi
lberberi@corriere.it