I 5 obiettivi di Monti: interessanti, discutibili, anzi impraticabili
di Marina Boscaino
Qualche riflessione a margine dell’intervento di Mario Monti che, nel corso del recente e tradizionale Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, ha individuato 5 obiettivi relativi alla scuola. Parlando di tutt’altro rispetto alla scuola.
Primo obiettivo: promuovere una migliore scolarità in tutta la popolazione, favorendo il sapere e le competenze diffuse. Il Professor Vittadini ha citato un dato che bisogna invertire quanto prima: 38% dei quindicenni italiani che ritiene la scuola un luogo dove non si ha voglia di andare. La scolarità diffusa è il un passo necessario per "togliere il freno" allo sviluppo dell'imprenditorialità e contribuire al diffondersi di un'offerta di lavoro più qualificato.
Sarebbe davvero difficile non trovarsi d’accordo con una affermazione relativa alla necessità di “favorire il sapere e le competenze diffuse”. Più difficile è, invece, trovarsi in sintonia con l’idea di una scuola, proposta dal premier, non solo completamente ancillare rispetto al lavoro, ma in cui non trovano diritto di cittadinanza concetti e principi come educazione, cultura, emancipazione, cittadinanza; che sono - a mio avviso - la quintessenza di ciò che la scuola deve trasmettere, ciò a cui deve tendere.
Prendiamo per buono il dato del 38% di Giorgio Vittadini (fondatore e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà); si tratta di una percentuale che, detta così, non dimostra nulla e soprattutto non dice nulla di nuovo.
E, casomai, dovrebbe invogliare il governo a riflettere su due elementi, non citati da Monti, che possono influire sul basso gradimento dei ragazzi: l’edilizia scolastica (le scuole sono per lo più ispirate ad un’architettura “sovietica”); e la formazione degli insegnanti (volta al recupero di metodologie didattico-pedagogiche che rendano eventualmente più interessante la scuola, favorendo “una migliore scolarità”).
Rimane la questione di una scuola finalizzata, schiacciata sul mercato del lavoro.
Anche Profumo, qualche tempo fa, si era lanciato in un’analoga interpretazione:“senza considerare la scuola il necessario complemento a una visione moderna del mercato del lavoro, non è possibile immaginare un suo ammodernamento: se il lavoratore è infatti una persona, e non solo un numero, le sue scelte professionali nascono già nel suo percorso formativo. Questo è il senso del mio lavoro come ministro"
E’ un brano del messaggio di auguri pasquali recapitato quest’anno alle scuole. In entrambi i casi emerge una violenta visione neoliberista della formazione, subordinata alle esigenze dell’impresa, responsabile solo ed esclusivamente nei confronti dei propri azionisti (e non della società tutta, nell’esercizio di una cittadinanza che è al contempo emancipazione del soggetto e della collettività), vocata al profitto: non all’apprendimento, non alla cultura, all’arricchimento dell’individuo; al fatto, semmai, che un lavoratore più colto sarà comunque un lavoratore più consapevole. Si intravede un’implicita riduzione a merce di tutto ciò su cui si fonda la Repubblica, che in qualche modo sembra essere il filo che lega con sempre maggiore evidenza gli interventi di questo governo “tecnico”. Nella totale dimenticanza di ciò che sono le diseguaglianze sociali e i conseguenti conflitti, ai quali la Costituzione, e proprio nella maniera in cui ne ha determinato il mandato, ha suggerito alcune soluzioni: la scuola pubblica in particolare.
Questa chiave di lettura è stata ribadia da Mario Monti parlando del secondo punto:
Secondo obiettivo: offrire maggiore possibilità alle scuole di esprimere, con autonomia e responsabilità, le proprie potenzialità.
È importante, anzitutto, potenziare l'istruzione tecnico-professionale, come ricordava anche il Professor Vittadini poco fa. Se nel mercato del lavoro italiano persiste un divario tra la domanda elevata di alcune professionalità e l'offerta scarsa o inesistente è anche a causa dell'insuccesso della formazione tecnica. Confartigianato ha quantificato in 32mila i posti di "difficile reperimento". Una migliore formazione tecnico-professionale è il perno su cui insistere per colmare questo divario. Dobbiamo anche insistere sul digitale, per accelerare i tempi e facilitare i rapporti tra la scuola pubblica e gli utenti: insegnanti, studenti e genitori.
Tre riflessioni:
1) parlare di autonomia e responsabilità, riproponendo la formula “autonomia responsabile” inaugurata da Profumo ("Io sto ragionando, - disse il Ministro dell'Istruzione e dell'Università, Francesco Profuno, a Radio Uno, intervistato da 'Prima di tutto' - insieme alle persone del Ministero, come dare una maggiore 'autonomia responsabile' trasferendo direttamente alle scuole le risorse senza vincolo di utilizzo in modo tale che ci sia una maggiore autonomia reale, un'autonomia nelle scelte e credo che questo sia la strada"), lascia qualche dubbio. Perché il recente progetto di legge 953 - che sta continuando il proprio iter, nonostante il dissenso di gran parte del mondo della scuola - che inaugura l’autonomia statutaria e riforma gli organi collegiali, sul quale il governo o ha taciuto o ha espresso consenso, è abissalmente lontano dal concetto di autonomia responsabile: si tratta, casomai, di una proposta che colloca la scuola in uno stato di subalternità rispetto ad eventuali finanziatori; che peraltro saranno molto più solleciti e presenti in alcune realtà e in alcuni segmenti dell’istruzione (si pensi al tecnico e al professionale) che in altri. Non solo: tale subordinazione e tali divaricazioni verranno ulteriormente sottolineate dallo Statuto dell’Istituzione Scolastica; tanti statuti quante sono le scuole. Non solo dunque rottura dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, quella già disegnata dalla “riforma” Gelmini attraverso la determinazione di modelli regionali altamente diversificati, soprattutto nell’istruzione professionale, fortemente legata al tessuto imprenditoriale ed aziendale di riferimento, con conseguente ulteriore affossamento della scuola del Sud. Ma anche sostanziali differenze tra scuola e scuola, non solo per ciò che riguarda le new entry esterne e la loro eventuale munificenza, ma anche funzionamento interno, modalità di partecipazione, attività di organi.
2) Della riqualificazione dell’istruzione tecnica Romano Prodi aveva fatto uno dei punti centrali del programma sulla scuola dell’allora Unione, riuscendo – a dire il vero parzialmente – a rivedere quel segmento della scuola secondaria di II grado, da una parte potenziando le sinergie con il territorio e con la realtà imprenditoriale circostante, ma non ignorando la necessità di uno sforzo anche sul piano squisitamente culturale. a indebolire attraverso sferzate di tagli (si pensi, ad esempio, agli insegnanti tecnico-pratici e ai laboratori) quel tentativo è poi intervenuta la “riforma” Gelmini.
3) Il digitale è ancora una volta la parola magica, come in tutte le - per la verità modeste e poco sostanziali - dichiarazioni di Profumo. Questi professori continuano a pensare che – nonostante le classi-pollaio, gli arredi ante-guerra, una mancanza di formazione adeguata per i docenti, la piaga di zone del Paese dove lo Stato latita - il totem tecnologico possa costituire in quanto tale e in modo meccanico e acritico una proposta dirimente per definire la qualità della scuola.
Terzo obiettivo: introdurre nuove modalità di reclutamento e formazione dei docenti, per favorire l'ingresso nella scuola di giovani insegnanti capaci e meritevoli e favorire un rapporto continuo e stretto tra scuola e società, anche attraverso accordi istituzionali con università, enti di ricerca, associazioni professionali e parti sociali.