«I 14enni e il miracolo dei like per il Classico»
la professoressa
Faccio l’appello in Aula magna e su per le scale. Per loro: scuola nuova, primo giorno della prima liceo, scale nuove, facce nuove. Per me: la mia scuola, scale mille volte salite e scese, ennesimo primo giorno del liceo classico da sempre, facce nuove. Quindi la prima cosa è la faccia: su questo siamo tutti nuovi e questo sarà oggi il principale terreno di confronto.
Iniziamo coi saluti e le presentazioni di tutti i professori della classe; comincio io, la coordinatrice. Racconto loro la storia dell’archeologo Manolis Andronikos, la cui bellissima faccia, con gli occhialoni e la barba, ho visto in fotografia più volte questa estate nel mio viaggio nel Nord della Grecia. Andronikos ha cercato per 20 anni le tombe degli antichi re macedoni. Ha tenuto in mano le ossa di Filippo II, il padre di Alessandro, e ha pianto. Cosa lo ha condotto al successo? Certamente lo studio, ma anche l’immaginazione, la forza di figurarsi i luoghi anche quando erano scomparsi, la visione dove era buio. Ecco. Per iniziare a studiare il mondo antico, occorre non vederlo come un museo, dove tutto è ben raccolto e classificato: il mondo antico è piuttosto un mare (e qui cito Luciano Canfora) in cui emergono degli isolotti, ma la maggior parte del territorio è sommerso e bisogna immergersi con curiosità e immaginazione per approssimare una qualche conoscenza di esso.
Mi sembra un bel discorso eppure gli studenti restano freddini, per quanto sia possibile nel caldo tropicale di questa giornata, qui in trenta nell’aula serra. Mmm... Quando i colleghi escono e resto sola con la classe, cambio strategia, ribaltando lo schema: passeggio in mezzo ai banchi e chiamo uno per uno i ragazzi, invitandoli a mettersi di fronte alla classe. Io sto in piedi in fondo e rivolgo loro alcune domande: da che scuola vieni? Dove abiti? Quanto ci metti a venire a scuola? Perché hai scelto il Liceo classico? Perché il Carducci? Come studi? Quanto studi? Cosa ti aspetti? Conosci l’origine e il significato del tuo nome? Così ci guardiamo in faccia e butto lì un po’ di parole greche. E allora si sciolgono. Parlano liberamente, usano un lessico familiare, dove «un sacco» e «tipo» ricorrono con frequenza sostenuta. I ragazzi del liceo classico vengono spesso descritti come ingessati, ma non mi pare lo siano. Sono educati e vestiti sobriamente (discutiamo anche del fatto che Greci e Romani non usavano i pantaloni), ma sono franchi. Hanno scelto il classico sull’onda di un interesse per la Storia e la Letteratura, un interesse che assomiglia molto a un «mi piace». Nessuno parla del futuro inteso come università («questa scuola mi preparerà meglio»), che era l’argomentazione più frequente qualche anno fa, ma del presente, dei loro gusti. E io mi commuovo di fronte al miracolo di ragazzi di 14 anni nel 2016 che sono disposti a giocarsi un like sul Greco e il Latino, che in alcuni casi se lo giocano contro l’opinione dei genitori («i miei mi dicevano che il Greco è inutile») e non soddisfano attese familiari, ma un loro piacere. La sfida sarà non soffocare questo piacere. Ed è sfida che fa tremare le vene e i polsi.
Dall’aula accanto si ode «Lo schiaccianoci»: è la sezione musicale. «Domani ci facciamo sentire anche noi», dichiaro, perché siamo la sezione teatrale. Ridono, mi sembrano contenti: se decidono di giocare sul serio — penso — vinciamo tutti. La porta è aperta (si soffoca) e in corridoio passano alcuni miei studenti più grandi. Si fermano a salutare e chiedo di venire all’intervallo in cortile a fare delle foto per l’articolo che devo scrivere. Accettano e, saltellando via, esclamano: «Uh! Domani siamo sul Corriereeeeee ».
Roberta Romussi
Professoressa