I 1.124 presidi mancanti. La scia di concorsi e ricorsi che blocca le assunzioni
Se la Lombardia rappresenta forse una vicenda limite, la sindrome che l'ha colpita è diffusa in tutta la penisola. In tutta Italia le poltrone vuote sono 1.124, il 12,4 per cento del totale
ROMA — Dice il perito che i nomi dei candidati erano leggibili «in condizioni di luce media del giorno a cielo coperto all'interno di un locale non illuminato artificialmente». In alternativa, sarebbe stato sufficiente usare «una lampada da tavolo come piano visore». Anche piuttosto fioca: 28 watt.
Per dirla più semplicemente, le buste che accompagnavano i compiti, con dentro i dati anagrafici dei loro autori, erano trasparenti. E poco importa se erano state acquistate, come hanno fatto presente i legali del ministero, con regolare procedura Consip. Il fatto è che ci si vedeva attraverso, e chiunque avrebbe potuto leggere il nome del candidato dentro la busta. Così al giudice del Tar prima, e poi a quello del Consiglio di Stato, non è rimasto altro che annullare il concorso per i presidi della Lombardia, cui avevano fatto ricorso in 120 dei circa 500 partecipanti. E le scuole di quella Regione adesso sono nei guai. Perché fra quel concorso andato in malora due anni fa e gli altri buchi che si sono aperti mancano la bellezza di 392 presidi su 1.118 «istituzioni scolastiche», come si chiamano nel gergo burocratico ministeriale. Banalmente, il 35 per cento di posti vuoti. Il triplo rispetto al resto d'Italia.
Perché se la Lombardia rappresenta forse una vicenda limite, la sindrome che l'ha colpita è diffusa in tutta la penisola. In tutta Italia le poltrone vuote sono 1.124, il 12,4 per cento del totale (i presidi dovrebbero essere in tutto 8.047). Carenza da mitigare con le circa 500 assunzioni già decise dal governo, senza però che questo risolva le altre situazioni più spinose. L'Abruzzo, per fare un caso. Il concorso per 68 posti da dirigente scolastico bandito due anni fa è stato annullato dal Tar, e la sentenza è stata sospesa successivamente dal Consiglio di Stato. Nonostante questo, le pressioni di quanti hanno presentato ricorso dopo la bocciatura sono incessanti. Chiedono di avere comunque l'incarico fino alla definizione del giudizio, forti dell'esempio di quello che è accaduto in altre Regioni. E forti, soprattutto, del sostegno della politica abruzzese, che schiera in prima linea l'imprenditrice Paola Pelino da Sulmona, senatrice del Popolo della libertà e produttrice dei famosi confetti Pelino. Qui i posti vacanti sono il 23,2 per cento.
Non vanno meglio le cose in Sicilia, dove i concorsi banditi quasi dieci anni fa, nel 2004, sono stati annullati: la conseguenza è che le poltrone vuote sono quasi il 21 per cento né in Toscana, dove il Tribunale amministrativo ha provveduto a cancellare l'esito del concorso del 2011. Ma neppure in Molise. Nel gorgo della giustizia amministrativa, insomma, ci sono finiti quasi tutti. Perché coloro che resistono alla tentazione di rivolgersi in ogni caso al Tar, qualunque sia il motivo della bocciatura, si contano sulle dita di una mano. E siccome le regioni sono venti, altrettanti sono i fronti con cui bisogna avere a che fare: in un delirio di carte bollate, fra annullamenti, sospensive, contro sospensive, appelli e controappelli.
Ragioni? Le più varie. Talvolta semplicemente pretestuose: gettare un po' di sabbia negli ingranaggi, sperando di pescare magari il jolly. In qualche altro caso, come dimostra la vicenda della Lombardia, riguardano invece errori o sciatteria delle amministrazioni. Comunque sia, i contenziosi durano anni, con legioni di avvocati (spesso sempre gli stessi) impegnati in una offensiva che non si esaurisce mai. E nella quale non di rado si inserisce anche la politica. Per non parlare dei costi, immani, per l'amministrazione. Diretti e indiretti, naturalmente.
Il risultato finale è sempre lo stesso, ovvero la paralisi. Ce n'è abbastanza, insomma, per dire basta. Ma come? Il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza, parlamentare del Partito democratico, è convinta che sia arrivato il momento di riportare al centro tutti i concorsi, oggi gestiti a livello regionale. Consapevole che non sarà semplice privare i tanti potentati locali piccoli e grandi delle ghiotte prerogative che la macchina degli esami porta con sé. In futuro dovrebbe occuparsi di gestirli, con la formula del corso-concorso, la Scuola superiore di pubblica amministrazione.
E nel frattempo? In attesa che le carte bollate tacciano, i posti vacanti potrebbero essere affidati a reggenti. Cioè presidi ai quali verrebbe chiesto di occuparsi temporaneamente, per un anno, della scuola vicina. Anche se questo, secondo gli esperti del ministero, non risolverebbe del tutto il problema della Lombardia: Regione molto grande e con tanti posti vacanti, spesso assai distanti fra loro. Non resta che sperare nella bacchetta magica.
Sergio Rizzo