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Grande fuga dei presidi rinunciano per stress

C’è una situazione di incertezza totale nella scuola e si scarica tutto sui dirigenti - sostiene Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil

27/08/2013
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Il Messaggero



 
IL CASO
ROMA Sono manager. Le scuole le loro aziende. Hanno pesanti responsabilità. Devono fare i conti ogni giorno con risorse sempre più limitate, con personale ridotto all’osso, con genitori sempre più esigenti. Devono saper leggere i bilanci e conoscere il linguaggio giuridico, pensare alla didattica e progettare percorsi di studio. Insegnanti, ma anche contabili e soprattutto burocrati. Sono i dirigenti scolastici, i “Ds” come li chiamano nelle aule, i presidi come venivano chiamati prima della riforma dell’autonomia scolastica, che li impegna con nuove responsabilità amministrative, giuridiche e non solo didattiche.
IL CONCORSO
Fino a qualche anno fa un lavoro ambito. Troppo pesante ora. E c’è chi inizia a lasciare. Nonostante la tanta fatica fatta per arrivare a guidare una scuola. Un fenomeno che sta crescendo. In tanti preferiscono tornare a fare i prof. Solo per fare qualche esempio, in Umbria l’anno scorso hanno rinunciato in tre. Nel Lazio due. Altri due in Piemonte. Tutti giovani, appena immessi in ruolo con l’ultimo concorso del 2011. «C’è una situazione di incertezza totale nella scuola e si scarica tutto sui dirigenti - sostiene Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil -. Il problema è che i presidi si sono trasformati da organizzatori didattici a cardinali amministrativi». «Quando abbiamo chiesto ai due dirigenti del Lazio perché lasciavano – racconta Mario Rusconi, vice presidente nazionale dell’Associazione nazionale dei presidi, l’Anp - ci hanno risposto che si sentivano abbandonati dall’amministrazione, pressati dai sindacati interni e dagli enti locali che non davano ascolto alle loro esigenze».
BUSTA PAGA
Il vantaggio economico, poi, non sembra sufficiente. Un preside guadagna circa seicento euro in più rispetto allo stipendio dei docenti. In media 2.600 euro netti al mese con una scuola dai 1.200 alunni in su. Un insegnante delle scuole superiori di 50 anni percepisce sui 2.000 euro. Ma le responsabilità sono molte di meno, e l’orario di lavoro è più leggero. E avere le scuole in reggenza, ossia avere in affidamento gli istituti senza dirigente, moltiplica le responsabilità ma non il salario che cresce solo di qualche centinaio di euro. La Disal, l’altra associazione di categoria dei dirigenti di scuola, in questi giorni ha invitato i presidi a fare “obiezione di coscienza” e a rifiutare di guidare altre scuole oltre la propria.
LE ASSUNZIONI
Il riferimento è soprattutto alla Lombardia. Perché le assunzioni in ruolo sono bloccate per via delle vicende giudiziarie che hanno fermato il concorso da Ds e anche quest’anno dovrebbero andare in reggenza ben 424 scuole. La Lombardia è una delle cinque regioni dove il concorso è bloccato e le assunzioni anche.
Un ruolo difficile quello dei presidi. E che richiede talento. Le capacità possono fare la differenza: lo conferma uno studio della Fondazione Agnelli e dell’Università di Cagliari. Per ogni punto in più di “abilità manageriali” del dirigente, è stato riscontrato che diminuiscono del 3% gli alunni che ripetono l’anno. Mentre nei test Invalsi i risultati degli studenti con i Ds “migliori” sono in media più alti di 2,2 punti. Ma la stessa ricerca conferma che le capacità gestionali dei nuovi presidi prima e dopo la riforma crescono. E in fondo molti chiedono, per essere soddisfatti, solo qualche frustrazione in meno e qualche risorsa in più.
Alessia Camplone

               


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