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Governare per: Otto sfide per il rinnovamento della ricerca e dell' Università

Dopo cinque anni di non governo della destra, il governo di centro sinistra dovrà affrontare problemi vecchi e nuovi del sistema pubblico della ricerca.

21/04/2006
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Otto sfide per il rinnovamento della ricerca e dell' Università

di Roberto Battiston

https://www.governareper.it/cgi-bin/adon.cgi?act=doc&sid=38&doc=3336
Dopo cinque anni di non governo della destra, il governo di centro sinistra dovrà affrontare problemi vecchi e nuovi del sistema pubblico della ricerca. Si tratta di una partita complessa, di cui non possiamo nasconderci la difficoltà. E’ quindi necessario individuare alcuni punti portanti di questa azione di governo, per meglio definire obiettivi e strategie. In questo scritto ho selezionato otto questioni aperte, che rappresentano otto sfide che sarà necessario affrontare e vincere per permettere un vero rinnovamento del sistema pubblico della ricerca..
1) Coniugare il diritto allo studio e all'accesso all'università con il riconoscimento del merito e con la formazione di eccellenza.

In Italia il modello delle scuole di eccellenza sia pubbliche che private non si e’ sviluppato come in altri paesi come la Francia, dove il sistema delle "Grandes Ecoles" pubbliche affianca il sistema universitario nel fornire ogni anno decine di migliaia di addetti per un sistema statale notoriamente efficiente. Questo sviluppo limitato e' stato anche influenzato da preconcetti ideologici che hanno contrapposto il concetto della formazione di eccellenza con il diritto allo studio, come se diritto e merito fossero due cose che non possano coesistere. Nel campo della ricerca cosi' come in quello economico l' egualitarismo e l' incapacita' di cogliere le dinamiche di tipo individuale non ha mai portato a buoni risultati ma solo alla dissipazione e frustrazione di risorse che dovrebbero essere sfruttate nell' interesse comune. Occorre realizzare pienamente come i rischi di formazione elitaria siano controbilanciati dal positivo effetto di traino che le Scuole di eccellenza hanno all’ interno dell’ universita’, del mondo della ricerca e del sistema socio-economico: esse devono essere potenziate per potere svolgere appieno questo ruolo positivo che e' quello di produrre laureati altamente competenti, scelti e formati in base al merito e non al censo, in numero adeguato alle necessità del Paese.

2) Riacquistare competitività portando a livelli europei la percentuale di lauree in ingegneria e delle materie scientifiche, materie necessarie per la Ricerca&Sviluppo e l'Innovazione.

L’ Italia non ha abbastanza laureati nelle materie scientifiche rilevanti per R&S e ne ha troppi in ambiti che non producono occupazione ma condannano alla disoccupazione o alla sottooccupazione. Anche nell’ ambito dell’imprenditoria il numero dei laureati e molto più basso (meno della metà di altri paesi europei come Francia o Finlandia). Non si può fare innovazione competitivà senza matematici, fisici, chimici, biologi, ingegneri, informatici.....Se questo tipo di laureati scarseggiano, occorre attivare una serie di incentivi per coloro che impegnano seriamente a studiare una materia scientifica, in modo da aumentarne il numero. Questo si può realizzare sia con incentivi a fondo perduto che potenziando il meccanismo del prestito d'onore, con restituzione in 17/20 anni a tassi agevolati. Relativamente al prestito d'onore universitario, occorre trovare un modo per diffonderne l'utilizzazione, attualmente limitata, probabilmente anche per un problema di mentalità che non spinge i giovani e le famiglie a indebitarsi con lo stato per potere portare a termine gli studi universitari. Il prestito di questi fondi dovrebbe coinvolgere le università oltre che le banche, con tassi fortemente agevolati e meccanismi di restituzione in direzione delle università e dei settori pubblici e privati che reinvestono nel campo della ricerca.

3) Realizzare pienamente le potenzialita’ della riforma dei cicli universitari

Un altro problema importante è quello della riforma dei cicli universitari, il cosiddetto 3+2. Il 3+2 deve essere difeso e rilanciato in quanto con questa riforma e' stata imboccata una strada coerente con l'organizzazione degli studi a livello europeo. Ma le modalita’ con cui il 3+2 è stato realizzato devono essere riviste, perché è stata una delle riforme completamente gestita all’ interno dei singoli atenei e delle singole facoltà con evidenti meccanismi di autoreferenzialita’ che hanno finito con lo scaricare le conseguenze negative sulla collettivita' senza riuscire a sfruttarne gli aspetti positivi. Tra le altre cose ne è derivata una moltiplicazione di percorsi non necessariamente collegati alla qualità della formazione offerta.

Deve essere fatto uno sforzo sistematico per rivedere i programmi di studi, uniformando la parte di formazione di base, e definendo con chiarezza percorsi che portino alla laurea triennale e alla laurea specialistica. Probabilmente la creazione di una commissione nazionale che riveda in modo coerente i programmi e l’organizzazione dei corsi di laurea di tutte le facoltà potrebbe portare ad un netto miglioramento in questo contesto. Attualmente la formazione di base e' la stessa sia che si voglia continuare nella specialistica, sia che ci si voglia fermare alla triennale, fatto che causa una evidente contraddizione tra obbiettivi formativi. La struttura del 3+2 che vogliamo deve potere formare sia un laureato triennale, che conosce gli elementi necessari per inserirsi rapidamente nel mercato del lavoro senza rimanere parcheggiato nell’ università per lunghi periodi, sia il laureato specialistico con una buona formazione nelle materie di base che gli permetta l’ approfondimento specialistico degli studi nel secondo biennio. Non è vero che con il sistema 3+2 questo non sia possibile. E’ vero però che il modo con cui è stato realizzato in molti casi, il caso più clamoroso sono i corsi di ingegneria, ha portato ad una sostanziale riduzione nella qualità formativa dei laureati, sia triennali che specialistici.

4) Ristabilire il circolo virtuoso tra ricerca di base, trasferimento tecnologico, ricerca applicata
Secondo Einstein non esiste la ricerca applicata ma solo applicazioni di ricerche di tipo fondamentale.

Il problema della pianificazione degli interventi di sostegno della ricerca di base è la sua naturale imprevedibilità . Le più grandi scoperte, quelle che hanno generato le tecnologie che oggi sono alla base della nostra vita quotidiana sono avvenute per lo più nell’ ambito di ricerche “curiosity driven” piuttosto che “application oriented”. Un’ esempio tra tanti è la nascita del World Wide Web al CERN, il laboratorio Europeo dedicato alla ricerca fondamentale; il WEB ha comportato benefici per l’intera umanita’ che superano enormemente l’investimento complessivo fatto in cinquant’anni di ricerche in fisica delle particelle.

Il ruolo della politica è quindi quello di definire le condizioni necessarie per realizzare una ricerca di base caratterizzata dal massimo standard qualitativo possibile, in particolare garantendo
• livelli formativi universitari e post universitari di eccellenza
• condizioni economiche e lavorative adeguate per coloro che svolgono l’ attivita’di ricerca
• meccanismi competitivi e premianti il merito
• un adeguato livello di finanziamenti strutturali ed infrastrutturali
• canali di comunicazione con il mondo delle imprese per garantire la massima ricaduta applicativa delle scoperte ottenute nella ricerca di base

5) Coniugare l’intrinseco elemento di azzardo insito nella ricerca di base con le necessariamente limitata disponibilità di risorse
L’esperienza internazionale ha mostrato come questo dilemma possa essere risolto solo basandosi sulla centralità del ruolo del ricercatore, sulla qualità e sull’ autonomia della sua ricerca, purché essa sia svolta in stretto contatto con una comunità scientifica internazionale che definisca standard di valutazione e definisca le linee di sviluppo del settore. Solo se la ricerca di base viene svolta e valutata all’interno di standard europei ed internazionali si può accettare la sua caratteristica autoreferenzialità.

La politica deve apprezzare e accettare questa specificità della ricerca e inserirla all’interno delle strategie e della pianificazione degli interventi e degli investimenti. In questo senso occorre ribaltare l'approccio del governo di destra che ha sistematicamente ridotto gli investimenti in ricerca fondamentale, fino a giungere al punto di modificare gli obbiettivi statutari del CNR per trasformarlo ope legis in un ente di ricerca applicata, nell' ottica miope di giungere all' innovazione minimizzando i costi della ricerca di base.
D'altra parte il processo di trasferimento dei risultati della ricerca dai laboratori di base e dello sviluppo dei processi e delle tecnologie applicative necessarie a realizzare dei prodotti utilizzabili dalla società è una fase importantissima che non può essere lasciato all’ improvvisazione e alla buona volontà dei singoli ricercatori.
Nel nostro Paese manca un ente nazionale che abbia le caratteristiche adatte per sostenere i processi di trasferimento tecnologico. Si tratta di attività che richiedono tempo, risorse economiche ingenti e personale dedicato. Ad esempio in Germania questo ruolo è svolto dall' Istituto Fraunhofer con 80 sedi, 12.500 persone ed un budget di un miliardo di Euro all'anno. La realizzazione di un Ente di questo tipo rappresenta un intervento strutturale che darà il suo beneficio su tempi medio lunghi, ma appare una esigenza ineludibile per il nostro Paese se vogliamo rimettere in moto il sistema dell'innovazione e della ricerca.
6) Il fattore tempo: occorre agire rapidamente sfruttando al meglio le risorse esistenti nel sistema

Il protagonismo dei paesi asiatici sta modificando gli equilibri dell'economia mondiale ad una velocità solo qualche anno fa inaspettata. Questo fenomeno non è nato ieri, ma ha radici molto profonde, che partono da un sistematico investimento in educazione, formazione, ricerca e tecnologia che questi paesi hanno realizzato con continuità negli ultimi anni. Chiunque abbia oggi rapporti con queste economie emergenti sa che esse sono rappresentate da una generazione giovane, dinamica e competente, che conosce l'inglese e che affronta senza complessi di inferiorità vecchi e nuovi mercati.

In Italia la sfida che il centrosinistra si trovera' ad affrontare su ricerca, impresa e innovazione è di importanza decisiva. Non dobbiamo però nasconderci la difficoltà di questa sfida: infatti c'e' un fattore che sta sfuggendo al nostro controllo, il fattore tempo. Per riprendere a competere occorre agire rapidamente, usando le risorse che abbiamo oggi a disposizione o possiamo mobilitare in tempi brevi. Non possiamo nel breve termine permetterci il lusso di programmare azioni su tempi medio/lungo.

E' quindi necessario trovare il modo di "dare benzina" ai motori che possono correre e trainare il sistema. Nell' Universita' e negli Enti Pubblici di Ricerca i "motori" in attesa di benzina sono rappresentati dai ricercatori, singoli o gruppi, specialmente i più giovani, gli assegnisti, i dottorandi, persone che stanno investendo anni decisivi della loro vita per ottenere un risultato professionale tangibile ma che allo stesso tempo sono privi di potere decisionale o di stabilità di prospettive. Solo ad alcuni sarà permesso di sviluppare la propria la carriera nel campo della ricerca o dell' università. Nella maggior parte dei casi questo non sarà possibile. L’investimento fatto su/da queste persone nel corso di anni di formazione avanzata, non deve essere sprecato ma deve essere sfruttato con il loro inserimento nel sistema produttivo per potere utilizzare le competenze da loro acquisite durante la formazione post universitaria. Per contribuire a questo processo le Università devono potere incentivare, ad esempio, la nascita di spinoff accademici, mettendo a disposizione i propri laboratori e strutture, contribuendo a creare contatti tra gli investitori e i ricercatori e così via. Esse possono inoltre garantire ai ricercatori-imprenditori, in parte o in tutto, la proprietà dei risultati delle ricerche, anche quando queste siano stati raggiunti con risorse pubbliche. In questo modo possono venire offerti rilevanti benefici "in natura" che potranno essere restituiti in modi e tempi opportuni, soprattutto se l’iniziativa imprenditoriale avrà avuto successo. Per lo Stato è certamente più conveniente regalare un brevetto ad un ricercatore e vederlo fruttare in seguito all' iniziativa privata, con conseguente beneficio dell'intera società, piuttosto che mantenerne il possesso e vederlo inutilizzato.
7) Rendere l’autonomia universitaria strumento per migliorare gli atenei e non per difendere situazioni di fatto

L’autonomia degli Atenei è una conquista importante che deve essere sostenuta e difesa, ma questo si può fare solo se i risultati ottenuti sono sottoposti regolarmente ad una seria valutazione. L’autonomia deve essere inoltre accompagnata da una capacita di autogoverno in cui, fino ad ora, i diversi atenei non hanno brillato. Occorre dare una scossa al sistema universitario, affinché si apra nei confronti della societa’ e metta maggiormente a disposizione l’enorme bagaglio di cultura, competenza, contatti e relazioni internazionali, da esso posseduto. Autonomia vuole anche dire responsabilità. Il prestigio dell' Università è offuscato tutte le volte che a questa istituzione vengono associati sprechi, nepotismi, gestioni privatistiche della cosa pubblica, offerte formative scadenti. Occorre trovare un modo per fare ricadere gli effetti negativi su coloro che ne sono responsabili in modo da non danneggiare gli altri ricercatori/docenti e gli altri atenei, per cui una valutazione attenta e approfondita, gestita da organismi terzi, preferibilmente internazionali è una misura assolutamente necessaria per accompagnare e sostenere una vera autonomia.
La strada intrapresa con il CIVR è un punto di partenza per la creazione di una Agenzia permanente per la Valutazione, che coinvolga in misura maggiore rappresentanti delle comunità scientifiche internazionali nei processi valutativi.

8) Coordinamento nazionale delle iniziative nel campo della ricerca a livello regionale

Il titolo V riconosce alle regioni potestà legislativa concorrente con quella dello Stato nel campo della ricerca. Questo si può trasformare in una opportunità o viceversa diventare un elemento di spreco a seconda della qualità dell' intervento che le regioni sapranno realizzare. Alcune regioni hanno già un’ esperienza pregressa in questo campo, altre vi si affacciano per la prima volta. La realizzazione di un coordinamento centrale, a cui le regioni possano fare riferimento e che monitori e valuti il risultato delle politiche di ricerca a livello regionale appare necessario per garantire una corretta applicazione di questa norma del titolo V.


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