«Gli studenti devono poter manifestare liberamente»
PANTALEO (CGIL) Le proteste non sono un problema di ordine pubblico
Roberto Ciccarelli
«Siamo l'unico paese europeo in cui il declino peggiora ogni giorno - afferma Domanico Pantaleo, segretario della Flc-Cgil - ma le proteste giovanili vengono trattate come un problema di ordine pubblico. Non dimentichiamo che siamo in un sistema autoritario, c'è l'idea che i conflitti vanno annichiliti, mentre la politica si rinchiude nei palazzi».
Per questo il ministro dell'Interno Maroni propone di estendere il Daspo alle manifestazioni?
Non sono d'accordo, la prevenzione degli incidenti nel corso delle manifestazioni deve avvenire in maniera diversa. Il Daspo è un provvedimento adottato per gli stadi e rischia di impedire la libera partecipazione ai cortei. Fermo restando che bisogna mettere in campo le iniziative necessarie per prevenire i disordini, mi auguro che le prossime manifestazioni siano pacifiche e chiedo al governo di permettere agli studenti di manifestare liberamente.
Come giudica la campagna di diffamazione e criminalizzazione in atto contro gli studenti e i ricercatori?
Molto negativamente. Come Flc rivendico il dialogo politico con il movimento studentesco e quello dei ricercatori che è stato utile per noi, come anche per loro. Il nostro rapporto è iniziato con l'Onda quando gli studenti si sono opposti al Disegno di legge Gelmini e alla politica dei tagli alla scuola e all'università voluta dal ministro dell'Economia Tremonti. Questo rapporto si è rafforzato da quando il loro movimento reclama un modello di sviluppo basato sui beni comuni e alternativo a quello neo-liberista. Stiamo lavorando ad una piattaforma comune da più di un anno, cioè da quando abbiamo promosso un'assemblea con gli studenti e i ricercatori precari alla Sapienza. Insieme a loro abbiamo partecipato alla manifestazione Fiom del 16 ottobre e a quella del 27 novembre in quella della Cgil. E presto lanceremo il percorso degli «stati generali della conoscenza» rivolto a tutti i soggetti che vivono e lavorano nel ciclo dell'istruzione pubblica.
Come giudica gli incidenti visti a Roma martedì scorso?
Ribadisco la mia ferma condanna per quegli atti di violenza. Altra cosa però è l'indignazione espressa in quella piazza. Quella bisogna comprenderla per evitare che le nuove generazioni cadano nella disperazione o nell'isolamento. Gran parte delle tensioni di questi giorni sono dovute al fatto che questo movimento fa paura al governo, rivendica un sistema sociale all'altezza del benessere delle persone ed è capace di costruire alleanze sociali e di conservare il consenso che si è guadagnato nella lotta contro il Ddl Gelmini. Rispetto alla generazione del niente diritto allo studio, lavoro stabile o stato sociale, senza alcuna garanzia per il reddito o per la pensione, qui si è iniziato a rivendicare il diritto al futuro.
Chi è il protagonista di questa rivolta generazionale?
Il lavoro della conoscenza altamente qualificato che ha perso identità ed è stato ridotto alla condizione di sottoproletariato. È questo il protagonista di uno scontro di classe per molti versi inedito in questo paese. La nuova generazione degli studenti ha ormai capito che un alto tasso di scolarità non garantisce alcuna mobilità sociale, l'apprendimento non garantisce l'emancipazione né l'affermazione professionale nella vita. In più questa società gli nega qualsiasi spazio alla cultura, al reddito e alla libertà. È una situazione soffocante contro la quale il movimento propone un'alternativa di civiltà.
Quale?
La cultura di destra ha fino ad oggi sostenuto che le persone da sole possono essere più libere di realizzarsi. Questi ragazzi dicono che solo collettivamente si può cambiare il mondo. Oggi in campo non c'è solo un'opposizione al governo, ma una proposta che rovescia l'idea per cui il successo formativo dipende dal reddito delle famiglie e non dal valore del lavoro intellettuale. Per il movimento, la scuola e l'università non sono più legate all'aziendalismo, alla retorica della meritocrazia e alla selezione dei migliori. Vengono anzi considerati luoghi dove costruire forme di partecipazione dove le persone producono saperi e non sono soggetti passivi di apprendimento.