Gli statali restano inamovibili
un primo segnale di discontinuità che riapre, dopo le macerie prodotte dalla legge Brunetta, un percorso sindacale che riguarda il mondo del lavoro pubblico, riaprendo finalmente la porta ad un percorso fatto di norme legislative e di nuove contrattualizzazioni
Roberto Giovannini
Dopo le guerre ferocissime tra Renato Brunetta e i sindacati del pubblico impiego, con il suo successore sulla poltrona della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi a quanto pare torna a splendere il sole sui rapporti tra organizzazioni sindacali e ministero. Nella notte tra giovedì e venerdì è stato infatti siglato un ampio accordo che ridisegna completamente le regole del lavoro pubblico rispetto all’era Brunetta. L’accordo - reso necessario per attuare anche nella pubblica amministrazione la riforma del mercato del lavoro Fornero, come previsto all’art.2 della riforma - è stato definito da Patroni Griffi con le confederazioni Cgil-CislUil-Ugl, le Regioni, le Province e i Comuni. «Sono soddisfatto - afferma il ministro l’intesa sarà una buona base in vista della delega legislativa che a breve presenterò al consiglio dei Ministri».
I sindacati festeggiano: sia per aver voltato pagina rispetto alla gestione precedente, ma anche e soprattutto perché l’applicazione della riforma Fornero non introduce quasi nessuna novità sul versante dei licenziamenti nel pubblico impiego. Si era ipotizzata l’estensione della possibilità di fare licenziamenti economici con semplice indennizzo anche nella pubblica amministrazione; invece l’unico cambiamento (probabilmente positivo) riguarderà soltanto le regole dei licenziamenti disciplinari, che verranno complessivamente riordinati «ferma restando la competenza dei contratti collettivi nazionali (come avviene nel privato)».
Non solo: l’intesa per quanto attiene alle nuove regole del mercato del lavoro pubblico ribadisce la «centralità» del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con una conseguente restrizione della possibilità di utilizzare contratti flessibili o precari (ferma restando la possibilità di deroghe per particolari settori come sanità, ricerca e istruzione). Altri aspetti trattati riguardano le relazioni sindacali, la valutazione, la mobilità dei dipendenti, la premialità e la dirigenza. Sui meccanismi di valutazione e sulla premialità l’intesa prevede (si legge in una nota del ministero) «una razionalizzazione del sistema, mediante una minore rigidità, ma lasciando inalterato il sistema di garanzia che eviti la distribuzione a pioggia delle risorse destinate agli incentivi». In agenda anche un «intervento sulla dirigenza, cui verrebbe garantita una maggiore autonomia rispetto all’organo di indirizzo politico». Il testo indica i principi di fondo che dovranno rientrare nella delega; il merito verrà dunque articolato. In una prospettiva di «convergenza» viene sottolineato - con il mercato del lavoro privato.
I sindacati hanno indicato come «positiva» la ripresa di un sistema di relazioni sindacali, scardinato - dicono - negli ultimi anni, sperando che porti a una revisione profonda della Riforma Brunetta». Però insistono affinché si facciano ripartire anche le retribuzioni dei dipendenti pubblici e della scuola, come evidenziato dalle rispettive categorie della Cisl: «L’intesa recepisce il principio secondo cui parte dei risparmi di spesa pubblica che i lavoratori contribuiscono a generare debbano andare ai salari. Su questo ci aspettiamo concretezza e rapidità». In casa Cgil, invece, si parla di «un primo segnale di discontinuità che riapre, dopo le macerie prodotte dalla legge Brunetta, un percorso sindacale che riguarda il mondo del lavoro pubblico, riaprendo finalmente la porta ad un percorso fatto di norme legislative e di nuove contrattualizzazioni».