Gli effetti della “riforma permanente” nelle nostre università
Nuovi dipartimenti governance difficile e un futuro incerto
ROBERTO CIAMPICACIGLI * AURELIO MAGISTÀ
Avete mai provato a prendere un colibrì, minuscolo volatile famoso per i suoi imprevedibili cambi di velocità e di direzione? Esaminare con accuratezza l’università italiana presenta più o meno le stesse difficoltà. Da ormai quattordici anni, con la
Grande Guida,
seguiamo i cambiamenti del mondo accademico e ogni volta diventa più difficile. Governo dopo governo, il virus della riforma ha contagiato tutti e sette i ministri passati sulla poltrona del Miur.
Quest’anno le conseguenze più importanti della rivoluzione permanente investono la
governance
degli atenei con la soppressione delle facoltà. Al loro posto stanno nascendo degli enti nuovi e potenti, che decideranno in merito alla didattica e alla ricerca. La nascita di questi enti, si chiamino dipartimenti, scuole, facoltà riformate (la legge di riforma 240/10, al comma 2 dell’articolo 2, lascia una certa autonomia alle università) è un percorso accidentato dallo stratificarsi di norme e interpretazioni che aggiungerà altra burocrazia a quella già esistente.
Un ulteriore segno di confusione e disagio, quest’anno, lo abbiamo verificato raccogliendo direttamente le informazioni università per università. Spesso, chiedendo a che punto era la soppressione delle facoltà e come si configurava la nuova situazione, la risposta era un’altra domanda, sintomatica di un certo disorientamento: «Ma gli altri che cosa stanno facendo?».
Ma non sarà che questo rincorrersi di norme abbia alla fine prodotto cambiamenti tali che nulla è cambiato? E che forse sarebbe banalmente necessario ripensare a tre linee guida semplici: lezioni, ricerca e servizi. Tre parole chiave sulle quali tornare a riflettere e investire risorse. L’università forse ha solo bisogno di una pausa per resettarsi e tornare ai valori fondamentali, recuperando tempi e stimoli che pure fanno parte del bagaglio e del patrimonio detenuto da molti atenei, da molti dipartimenti, da molti docenti.
Invece, i cambiamenti continuano a complicare il funzionamento e la missione universitaria stessa. E rendono più accidentato il lavoro di valutazione della
Grande Guida,
i cui principali risultati sono pubblicati in queste pagine: la transizione del nuovo modello di
governance
rende sempre più complesso il compimento della ricerca di «omogeneità» (misurare unità confrontabili) condizione necessaria per ogni valutazione e per la costruzione di ogni ranking. Sarà necessario — il prossimo anno — rintracciare gli elementi di confronto all’interno dei dipartimenti e questo richiederà uno sforzo ben superiore a quello profuso in questi anni, basato sulle facoltà. Anche se il prezzo più alto rischiano di pagarlo i ragazzi che devono iscriversi al primo anno: arrivare all’università nel bel mezzo di una transizione aumenta molto il rischio di una scelta disorientata.
*Direttore del Censis Servizi