Giustizia per Giulio, libertà per Zaki
Alle 19 e 41 del 25 gennaio 2016 il ricercatore italiano Guido Regeni invia un sms alla fidanzata in Ucraina. Poco dopo, la studentessa Noura Wahby, che aveva conosciuto nel 2014 a Cambridge, ne denuncerà la scomparsa sul proprio profilo facebook. Il corpo nudo e atrocemente mutilato del ragazzo sarà trovato il 3 febbraio in un fosso lungo la strada del deserto alla periferia del Cairo
di Ilaria Romeo
Quando lo ritrovarono, il corpo di Giulio Regeni mostrava segni evidentissimi di tortura: contusioni, abrasioni, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Si potranno contare più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti. Solo il 10 dicembre 2020 la Procura della Repubblica di Roma chiuderà le indagini preliminari. Saranno rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano. I reati contestati comprenderanno sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio.
“Qualche tempo fa - diceva commentando la notizia mamma Paola Deffendi - nessuno avrebbe pensato che saremmo arrivati dove siamo oggi. È una tappa importante nella ricerca delle verità ma anche per la democrazia italiana e non solo. Nessuno ci avrebbe scommesso, noi invece scommettiamo che ce ne saranno altre anche perché noi non ci fermiamo”. Non ci fermiamo.
Dal giorno del suo ritrovamento nel febbraio 2016, lo striscione giallo “Verità per Giulio Regeni” ha fatto il giro del mondo. “Verità per Giulio Regeni” è diventata la richiesta di Amnesty International, di tanti enti locali, dei principali comuni italiani, delle università e di altri luoghi di cultura del nostro paese che hanno esposto questo striscione, o comunque un simbolo che chieda a tutti l’impegno per avere la verità sulla morte di Giulio.
“L'ultima foto che abbiamo di Giulio - diceva sempre mamma Paola pochi giorni dopo il ritrovamento - è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno, quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c'è un piatto di pesce e intorno gli amici, perché Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. È un’immagine felice”. Poi c’è un’altra immagine. Quella che “con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice”, quella all’obitorio. “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui. All’obitorio, l’unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso”.
“Appendete striscioni, condividete le foto, per mio fratello, per Giulio Regeni, per il mondo intero” scriveva nel febbraio 2016 Irene Regeni sul suo profilo facebook, pubblicando una foto della casa di Fiumicello con un striscione appeso al balcone. Una battaglia di civiltà, quella per avere verità e giustizia sulla e per la morte di Giulio, fatta propria da tanti, da tantissimi.
“Signor presidente del Consiglio faccia rispettare i diritti umani e la dignità del nostro Paese”, dicevano il mese scorso i partigiani e le partigiane d’Italia rivolgendosi direttamente a Giuseppe Conte. Uomini e donne che hanno fatto la nostra Storia, anziani ma ancora combattenti per la libertà, contro ogni fascismo e per i diritti umani. “I diritti umani - diceva nell’occasione Gianfranco Pagliarulo - sono alla base della Resistenza. Ecco perché i nostri partigiani, anziani ma ancora combattenti, hanno scelto di far sentire la loro voce e metterci la faccia per chiedere un intervento del premier Giuseppe Conte a favore di Giulio Regeni”. E non solo per lui.
Il pensiero di Pagliarulo è andato - inevitabilmente - anche a Patrick Zaki arrestato il 7 febbraio scorso: “Questo giovane sta marcendo nelle galere egiziane da troppo tempo. La nostra campagna è fatta anche per lui e per tutti coloro che hanno subito la violazione dei diritti umani nelle celle di quel Paese”. Dal 2013, anno del colpo di Stato, in Egitto sono morte in detenzione 1.058 persone, di cui 100 tra gennaio e ottobre 2020. Nel rapporto "I Giulio Regeni d’Egitto" l’associazione Committee for Justice ha raccolto tutti i casi di decesso per età, struttura detentiva e motivi: torture (144), mancanza di cure (761), suicidio (67), cattive condizioni in cella (57) e altre ragioni (29).
“Giulio Regeni non è stata l’unica vittima delle autorità egiziane. - denunciava il direttore esecutivo di Cfj, Ahmed Mefreh, presentando il resoconto dettagliato del report - Dopo il suo omicidio ne sono accaduti altri nei confronti di stranieri, penso al francese Eric Lange, l’americano James Henry Lawne e altri, uccisi a sangue freddo e senza alcuna conseguenza penale nei confronti dei loro torturatori e assassini. Si tratta di pochi casi rispetto alla moltitudine dei nostri connazionali fatti fuori dal regime in quanto considerati scomodi. Ciò che sta accadendo in Egitto da alcuni anni a questa parte è ammantato da un silenzio internazionale sospetto”.
Vogliamo giustizia per Giulio, Eric, James. Vogliamo Patrick libero. Vogliamo che non accada più.