Giorgio Israel: «L’errore di Renzi sulla scuola: non ha capito la trasversalità dell’opposizione»
Intervista. Lo storico della scienza e matematico critica lo storytelling messo a punto dal governo sul Ddl scuola. «Il preside-manager viene istituito per una ragione di controllo politico-ideologico e per creare un ceto di dirigenti che faccia da cinghia di trasmissione con i precetti del Miur». «La scuola forma persone libere, non individui confezionati da un’ideologia tecnocratica»
Giorgio Israel, professore di matematica alla Sapienza di Roma, è un fine analista dell’ideologia neoliberale della valutazione e della certificazione burocratica che da vent’anni governa l’istruzione e la ricerca. Il blog, gli articoli e gli scritti di Israel sono strumenti per decostruire il racconto imbastito dal governo sulla «Buona Scuola» e per spiegarne le finalità.
Lo storytelling di Renzi sostiene che l’opposizione alla riforma della scuola è ispirata da forze conservatrici. Professore, lei si sente un conservatore?
Questo è il punto. Quello che il nostro premier non ha capito è che chi si oppone alla «Buona scuola» lo fa per lo più in nome della difesa di una visione universalistica dell’istruzione, che mira non alla fabbricazione di individui confezionati in base a un’ideologia tecnocratica bensì alla formazione di persone libere, dotandole degli strumenti conoscitivi adatti a una libera scelta del loro futuro. Una simile visione è presente in chi, a sinistra, è legato a una visione di tipo gramsciano, e in chi invece si ricollega a una visione conservatrice di tipo liberaldemocratico. Non aver capito il carattere di trasversalità dell’opposizione è stato un errore politico colossale. Quanto a me, quel che conta è quel che penso e se ricordo certi linciaggi estremisti cui sono stato sottoposto rifiuto categoricamente di farmi mettere etichette.
Nello spot alla lavagna il premier ha rivendicato la continuità con la riforma di Luigi Berlinguer. Qual è il suo giudizio sul ventennio di riforme dell’istruzione pubblica?
Meglio stendere un velo pietoso. Le riforme berlingueriane della scuola e dell’università sono state quanto di più devastante si sia dato in questo ventennio. Dagli anni in cui Berlinguer difendeva accanitamente la visione gramsciana di una scuola disinteressata, basata sulle conoscenze e il rigore, con critiche severe degli andazzi della burocrazia europea, egli è passato all’adesione completa a una visione tecnocratica senza la minima giustificazione di tale rovesciamento salvo l’invettiva quotidiana contro Gentile, fonte di qualsiasi male anche di quelli contro cui combatteva e che, in fin dei conti, ha avuto scarsa influenza sulle politiche scolastiche del fascismo rispetto a un Bottai. Un altro storytelling completamente falso.
Qual è la ragione che spinge il governo a imporre la figura del preside manager nella scuola?
Una ragione di controllo politico-ideologico in modo da disporre di un ceto di dirigenti che faccia da cinghia di trasmissione dei precetti ministeriali. Basti pensare all’ultimo concorso per dirigenti. La batteria di quiz era composta da un gran numero di domande sbagliate e poi da una massa di domande che richiedevano da parte del candidato la conoscenza di una letteratura psico-pedagogica di tipo costruttivista. E perché mai per essere un buon dirigente debbo essere esperto e consenziente con certa letteratura e non altra? Qui viene messa fuori gioco non solo la libertà d’insegnamento ma quella di pensare liberamente. Se poi un dirigente viene dotato anche del potere di assumere e controllare la carriera dei «suoi» insegnanti siamo al regime. Si ricordi che la Carta della Scuola fascista del 1940 ridefiniva il preside come «capo dell’Istituto», una figura monocratica che ora viene dotata di altri pesanti poteri.
Com’è cambiato il mestiere dell’insegnante in questi venti anni?
È stato progressivamente trasformato nella figura di un mero esecutore delle prescrizioni ministeriali espresse in un continuo diluvio di circolari, regole, certificazioni spesso deliranti e scritte in un italiano incredibile. Gli è stata sottratta gran parte del tempo della sua attività come «maestro». Del resto, è da un pezzo che certo pedagogismo che ha larga influenza tra i burocrati del ministero predica che bisogna cancellare la parola insegnante per sostituirla con quella di «facilitatore», in nome di una demagogica idea della scuola come «autoformazione», senza rendersi conto che una scuola senza autentici «maestri», capaci di stabilire un rapporto intenso e costruttivo con gli allievi non è tale, è una fabbrica di addetti all’impresa, quel che persegue la Confindustria nella sua solita prassi di ottenere quel che le serve a spese dello Stato.
Il governo ha criticato il boicottaggio dei test Invalsi. Come sono nati e qual è il loro ruolo nel nuovo sistema di valutazione della scuola e degli studenti?
Sarebbe lungo fare una storia dell’Invalsi. All’inizio doveva essere un istituto che con metodi statistici campionari doveva tentare di costruire un’immagine dello stato della scuola italiana. Si è trasformato in un istituto censuario cui è stato dato il potere addirittura di imporre una prova a quiz che interviene e altera il processo di valutazione facendo parte delle prove per l’uscita dalle scuole medie. Siamo in molti ad aver svolto critiche dettagliate della prassi dell’ente senza alcuna risposta perché esso è chiuso, autoreferenziale ed esente da qualsiasi controllo.
Approvata la riforma, che cosa diventerà la scuola?
Speriamo che non sia approvata. Altrimenti, questo insieme di provvedimenti sconnessi, incoerenti, prodotti da chi non ha alcuna autentica competenza sul tema dell’istruzione oppure ha idee devastanti, produrrà semplicemente terra bruciata. I migliori insegnanti non vedranno l’ora di andarsene – come già accade – e la scuola diventerà una mera propaggine della burocrazia e di chi vuol servirsene soltanto a scopi meramente strumentali. Addio cultura e conoscenze, in un paese che ha una delle più ricche tradizioni culturali del mondo e aveva costruito un’ottima scuola.