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Giorgio Israel: «L’errore di Renzi sulla scuola: non ha capito la trasversalità dell’opposizione»

Intervista. Lo storico della scienza e matematico critica lo storytelling messo a punto dal governo sul Ddl scuola. «Il preside-manager viene istituito per una ragione di controllo politico-ideologico e per creare un ceto di dirigenti che faccia da cinghia di trasmissione con i precetti del Miur». «La scuola forma persone libere, non individui confezionati da un’ideologia tecnocratica»

16/05/2015
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il manifesto

Gior­gio Israel, pro­fes­sore di mate­ma­tica alla Sapienza di Roma, è un fine ana­li­sta dell’ideologia neo­li­be­rale della valu­ta­zione e della cer­ti­fi­ca­zione buro­cra­tica che da vent’anni governa l’istruzione e la ricerca. Il blog, gli arti­coli e gli scritti di Israel sono stru­menti per deco­struire il rac­conto imba­stito dal governo sulla «Buona Scuola» e per spie­garne le finalità.

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Lo sto­ry­tel­ling di Renzi sostiene che l’opposizione alla riforma della scuola è ispi­rata da forze con­ser­va­trici. Pro­fes­sore, lei si sente un conservatore?

Que­sto è il punto. Quello che il nostro pre­mier non ha capito è che chi si oppone alla «Buona scuola» lo fa per lo più in nome della difesa di una visione uni­ver­sa­li­stica dell’istruzione, che mira non alla fab­bri­ca­zione di indi­vi­dui con­fe­zio­nati in base a un’ideologia tec­no­cra­tica bensì alla for­ma­zione di per­sone libere, dotan­dole degli stru­menti cono­sci­tivi adatti a una libera scelta del loro futuro. Una simile visione è pre­sente in chi, a sini­stra, è legato a una visione di tipo gram­sciano, e in chi invece si ricol­lega a una visione con­ser­va­trice di tipo libe­ral­de­mo­cra­tico. Non aver capito il carat­tere di tra­sver­sa­lità dell’opposizione è stato un errore poli­tico colos­sale. Quanto a me, quel che conta è quel che penso e se ricordo certi lin­ciaggi estre­mi­sti cui sono stato sot­to­po­sto rifiuto cate­go­ri­ca­mente di farmi met­tere etichette.

Nello spot alla lava­gna il pre­mier ha riven­di­cato la con­ti­nuità con la riforma di Luigi Ber­lin­guer. Qual è il suo giu­di­zio sul ven­ten­nio di riforme dell’istruzione pubblica?

Meglio sten­dere un velo pie­toso. Le riforme ber­lin­gue­riane della scuola e dell’università sono state quanto di più deva­stante si sia dato in que­sto ven­ten­nio. Dagli anni in cui Ber­lin­guer difen­deva acca­ni­ta­mente la visione gram­sciana di una scuola disin­te­res­sata, basata sulle cono­scenze e il rigore, con cri­ti­che severe degli andazzi della buro­cra­zia euro­pea, egli è pas­sato all’adesione com­pleta a una visione tec­no­cra­tica senza la minima giu­sti­fi­ca­zione di tale rove­scia­mento salvo l’invettiva quo­ti­diana con­tro Gen­tile, fonte di qual­siasi male anche di quelli con­tro cui com­bat­teva e che, in fin dei conti, ha avuto scarsa influenza sulle poli­ti­che sco­la­sti­che del fasci­smo rispetto a un Bot­tai. Un altro sto­ry­tel­ling com­ple­ta­mente falso.

Qual è la ragione che spinge il governo a imporre la figura del pre­side mana­ger nella scuola?

Una ragione di con­trollo politico-ideologico in modo da disporre di un ceto di diri­genti che fac­cia da cin­ghia di tra­smis­sione dei pre­cetti mini­ste­riali. Basti pen­sare all’ultimo con­corso per diri­genti. La bat­te­ria di quiz era com­po­sta da un gran numero di domande sba­gliate e poi da una massa di domande che richie­de­vano da parte del can­di­dato la cono­scenza di una let­te­ra­tura psico-pedagogica di tipo costrut­ti­vi­sta. E per­ché mai per essere un buon diri­gente debbo essere esperto e con­sen­ziente con certa let­te­ra­tura e non altra? Qui viene messa fuori gioco non solo la libertà d’insegnamento ma quella di pen­sare libe­ra­mente. Se poi un diri­gente viene dotato anche del potere di assu­mere e con­trol­lare la car­riera dei «suoi» inse­gnanti siamo al regime. Si ricordi che la Carta della Scuola fasci­sta del 1940 ride­fi­niva il pre­side come «capo dell’Istituto», una figura mono­cra­tica che ora viene dotata di altri pesanti poteri.

Com’è cam­biato il mestiere dell’insegnante in que­sti venti anni?

È stato pro­gres­si­va­mente tra­sfor­mato nella figura di un mero ese­cu­tore delle pre­scri­zioni mini­ste­riali espresse in un con­ti­nuo dilu­vio di cir­co­lari, regole, cer­ti­fi­ca­zioni spesso deli­ranti e scritte in un ita­liano incre­di­bile. Gli è stata sot­tratta gran parte del tempo della sua atti­vità come «mae­stro». Del resto, è da un pezzo che certo peda­go­gi­smo che ha larga influenza tra i buro­crati del mini­stero pre­dica che biso­gna can­cel­lare la parola inse­gnante per sosti­tuirla con quella di «faci­li­ta­tore», in nome di una dema­go­gica idea della scuola come «auto­for­ma­zione», senza ren­dersi conto che una scuola senza auten­tici «mae­stri», capaci di sta­bi­lire un rap­porto intenso e costrut­tivo con gli allievi non è tale, è una fab­brica di addetti all’impresa, quel che per­se­gue la Con­fin­du­stria nella sua solita prassi di otte­nere quel che le serve a spese dello Stato.

Il governo ha cri­ti­cato il boi­cot­tag­gio dei test Invalsi. Come sono nati e qual è il loro ruolo nel nuovo sistema di valu­ta­zione della scuola e degli studenti?

Sarebbe lungo fare una sto­ria dell’Invalsi. All’inizio doveva essere un isti­tuto che con metodi sta­ti­stici cam­pio­nari doveva ten­tare di costruire un’immagine dello stato della scuola ita­liana. Si è tra­sfor­mato in un isti­tuto cen­sua­rio cui è stato dato il potere addi­rit­tura di imporre una prova a quiz che inter­viene e altera il pro­cesso di valu­ta­zione facendo parte delle prove per l’uscita dalle scuole medie. Siamo in molti ad aver svolto cri­ti­che det­ta­gliate della prassi dell’ente senza alcuna rispo­sta per­ché esso è chiuso, auto­re­fe­ren­ziale ed esente da qual­siasi controllo.

Appro­vata la riforma, che cosa diven­terà la scuola?

Spe­riamo che non sia appro­vata. Altri­menti, que­sto insieme di prov­ve­di­menti scon­nessi, incoe­renti, pro­dotti da chi non ha alcuna auten­tica com­pe­tenza sul tema dell’istruzione oppure ha idee deva­stanti, pro­durrà sem­pli­ce­mente terra bru­ciata. I migliori inse­gnanti non vedranno l’ora di andar­sene – come già accade – e la scuola diven­terà una mera pro­pag­gine della buro­cra­zia e di chi vuol ser­vir­sene sol­tanto a scopi mera­mente stru­men­tali. Addio cul­tura e cono­scenze, in un paese che ha una delle più ric­che tra­di­zioni cul­tu­rali del mondo e aveva costruito un’ottima scuola.


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