Giannini, un ministro in bilico
Dopo l'insuccesso alle Europee, resa dei conti in Sc. Dimissioni del ministro da segretario. Renzi non vuole cambi al governo durante il semestre Ue
Alessandra Ricciardi
Sono ore decisive, per l'immediato futuro di Scelta civica e anche per l'assetto di governo. A fronte di un esito trionfale delle elezioni europee per il Pd di Matteo Renzi, Scelta civica ha fatto registrare un sonoro flop: è passata dall'8,3% delle politiche, quando a capo del partito c'era il senatore a vita e premier uscente, Mario Monti, allo 0,7%.
Il segretario di Sc, nonché ministro dell'istruzione, università e ricerca, Stefania Giannini, si è dimessa dalla carica. «Di fronte ad una sconfitta di questa portata, consegno le mie dimissioni», ha detto nel corso di una riunione del partito. Ora tocca all'assemblea, convocata per oggi, decidere se accettarle. Esito per la verità dato per scontato. Il vero problema è decidere cosa fare dopo: una parte di Sc spinge per entrare nel Pd e un'altra invece propende per una ripartenza uscendo però dal governo. E c'è anche una terza via che guarda addirittura a Ncd. Scenari assai diversi, che possono mettere a rischio la rappresentanza del partito al governo. Perché è vero che i numeri in parlamento non sono cambiati, ma se Sc si dovesse ulteriormente spaccare nel sostegno all'esecutivo, sarebbe insostenibile averne un rappresentante al governo, tra l'altro a un ministero di peso come quello dell'istruzione. Un ragionamento che non fa i conti tra l'altro con la decisione di dimettersi da ministro che la stessa Giannini invece, in tutta autonomia, potrebbe prendere.
Per il momento da palazzo Chigi arriva l'indicazione di serrare i ranghi e di non cambiare nulla nell'assetto del governo. Indicazione che è valsa anche per Ncd, anch'essa ferma a risultati inferiore alle attese: nel semestre europeo a guida italiana Renzi non vuole dare segnali di instabilità. Un interesse prioritario ed assorbente rispetto a un allargamento della presenza dello stesso Pd al governo. Che avrebbe tra l'altro l'inconveniente di portare a un rapido ritorno alle urne. Per ora, il mantra è durare fino al 2018.
Del resto, salvo novità dell'ultima ora, il Pd per contare di più non ha necessariamente bisogno di avere nuove postazioni. Nel caso del ministero dell'istruzione, per esempio, il renziano sottosegretario Roberto Reggi ha già deleghe tali da rendere la posizione del partito predominante. Con una regia, quella dello stesso Renzi da palazzo Chigi sulle politiche scolastiche, che dovrebbe assicurare organicità di azione. Poi si vedrà.