Giannini: «Scuola e ricerca tornino centrali Ma nel governo si agisca insieme»
Nel governo più sintonia. Il ministro: scuola e ricerca siano centrali «Servono maggiori risorse»
NATALIA LOMBARDO @NataliaLombard2
«Capisco le preoccupazioni del presidente della Repubblica riguardo alla scarsezza di risorse per la ricerca, ma almeno questo governo ha preso un impegno pubblico per rilanciare gli investimenti». La ministra dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Stefania Giannini, è anche segretario di Scelta Civica. Alla Camera hanno appena approvato il decreto che risolve la grana degli scatti di anzianità degli insegnanti: «Bene, si è corretto il tiro rispetto a un errore compiuto nel passato», ha commentato, «ora dobbiamo rimpinguare il fondo dell'offerta formativa da cui sono state tratte le coperture». Resta però il nodo dei docenti «quota 96», che per la riforma Fornero non sono potuti andare in pensione: «Auspico che il ministero dell'Economia consenta al Parlamento di trovare una soluzione che permetta a questi insegnanti di non restare nel guado e nell'incertezza», è l'appello della ministra. Il rapporto dell'Anvur è desolante: al ministero, un miliardo in meno dal 2009 ad oggi; è diminuito il numero di iscrizioni all'università,1140% non arriva alla laurea, c'è un gap tra Nord e Sud. Un quadro che preoccupa il presidente Napolitano. «In questi anni c'è stato un decremento costante per l'istruzione, circa il 15% di risorse in meno. Ma ci sono due fattori positivi: da parte del governo c'è un impegno politico pubblico sugli investimenti per le scuole, la ricerca e l'università. Secondo, l'avvio di un dialogo costruttivo per l'ingresso di fondi privati, da fondazioni o imprenditori, come avviene in America. Ci sono 600 milioni di euro del credito d'imposta, spero che tutto ciò viaggi in parallelo». Cosa la preoccupa di più? «Il calo delle iscrizioni, perché è frutto della crisi economica e di fiducia, tanto più con il divario Nord-Sud. Deve tornare al centro dell'agenda di governo l'importanza dello studio e dell'istruzione: il costo di un'utilitaria è quello con cui si manda un figlio all'università come fuori sede, ma vale molto di più». Renzi è partito dalla scuola. Con quali tappe si realizzerà questo programma? «La prima cosa sono gli interventi sull'edilizia scolastica. La deroga al patto di stabilità dei Comuni dovrebbe portare alcuni miliardi per un piano su 8000 Comuni, più il fondo del Miur di 1 miliardo e 30 Omila euro per 2000 interventi, in totale 10mila cantieri per la messa in sicurezza. Non è poco». Pensa che sarà più facile trovare le risorse con questo governo? «Mi aspetto che siano degli investimenti prioritari da trovare con azioni comuni, col ministero dell'Economia, in primis. Poi noi siamo tra i massimi contribuenti ma portiamo a casa pochi fondi europei» Da cosa dipende? Per il rapporto Anvur i ricercatori sono pochi, sulla ricerca lo Stato investe lo 0,52% del Pil, lo 0,18 in meno rispetto alla media Ocse. «Noi abbiamo un piccolo esercito di ricercatori bravissimi e vincenti, ma se aumentano i progetti brillanti vengono assegnati più fondi europei per altre ricerche, è un circolo virtuoso, ma ci vorrà un decennio. Si vedrà se serve un'agenzia nazionale per la ricerca, o no, per dire». Lei pensa a una nuova riforma della scuola, per i contenuti e i docenti, o no? «Vorrei poter dare alla scuola, concretamente, quei principi di autonomia e responsabilità, con valutazione abbinata. Sarebbe già il punto di un nuovo contratto e per un modo di concepire la carriera degli insegnanti, che ora sono premiati solo se più anziani, perché non c'è una valutazione che premi chi lavora di più o si assume più responsabilità direttive». Rimetterà la storia dell'arte nei programmi scolastici? «Dipendesse da me... subito. Si tratta di risorse, ma l'Italia ha il dovere culturale, etico, di formare le persone sulle disclipline umanistiche. C'è un impegno, vedremo nei prossimi giorni». Il governo è nato in modo traumatico. Pensa che riuscirà a «cambiare verso» all'Italia? «Reni ha portato un clima di fiducia e di speranza nel Paese, cosa che si traduce in un credito, anche se con molte aspettative. Sì, è nato in modo traumatico, ma la politica è fatta anche di strappi. Lo dico anche da segretario di Scelta Civica: la staticità degli ultimi tre mesi del governo Letta e la contrapposta rapidità di richieste e di aspettative del Pd ha imposto la necessità del sorpasso. Ora la grande sfida è tradurre fiducia e speranza in punti di certezza. Si dovrà agire in modo sinfonico, un governo che si propone con un'agenda ambiziosa di riforme strutturali, l'ha detto la Merkel, deve andare di concerto, non un ministro che rincorre il Mef o strappa la cartella all'altro, ma seguire insieme l'agenda delle priorità». Cosa pensa dell'Italicum? «L'ok della Camera è un grande passo avanti, anche se va migliorata in alcuni difetti strutturali: la soglia di accesso al premio di maggioranza, un partito che prende il 25, 26% e poi nella coalizione, con dei portatori d'acqua che non entrano in Parlamento, si prende il 51% di seggi è difficile da sostenere anche sotto i profili costituzionali. Mi aspetto che al Senato questa cosa sia rivista». E sulla parità di genere? «Al Senato si sta votando l'emendamento Bruno per la parità alle Europee, solo una preferenza su tre, un po' poco...». Scusi, ma c'è un'inchiesta sui fondi utilizzati quando era rettore dell'Università per stranieri di Perugia. E dubbi sul finanziamento a un viaggio di Benigni. «Non è un'inchiesta ma una segnalazione alla Corte dei Conti. Il Cda da me presieduto per anni ha fatto un percorso trasparente: si tratta di un affitto insoluto, la persona è fallita, non sono entrati i fondi nelle casse dell'Università, ma non ci sono responsabilità del Cda e mie. La questione di Benigni non esiste, è una falsità: l'università ha dato un contributo di 10mila euro per un evento meraviglioso, la lettura di Dante a Bruxelles il 9 novembre del 2009, un momento drammatico per l'Italia. Benigni non ha avuto un soldo di cachet, ha usato qualcosa perché si era rotto un piede...».