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Giannini: Premi al merito per i docenti. Medicina, stop ai ridicoli test

Giannini: Esami di maturità. Pronti a cambiare i punti critici

18/06/2014
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Il Mattino

«È un esame che ha ancora più pregi che difetti, e rappresenta il vero spartiacque tra la fine della scuola e l'inizio di una nuova vita, proiettata verso il lavoro»:

il giorno prima degli esami di maturità, il ministro Stefania Giannini fa il punto sulla scuola e sull'università. E spiega come intende portare avanti alcuni cambiamenti, a partire dalla battaglia sull'eliminazione dei test di ingresso nelle facoltà di Medicina.

Lei è convinta che l'esame di maturità non sia ormai solo un rito, piuttosto vuoto?

«Assolutamente. Non ha perso né valore né significato. Anzi, rispetto ai miei tempi lo considero un esame più completo, con un indice diagnostico più variegato. Lo sforzo che lo studente deve fare, in pratica, lo costringe ad analisi a tutto campo, a un'elaborazione di contenuti molto ricca, dove si incrociano diverse discipline».

Dunque, non cambierà nulla per il prossimo anno?

«Questo lo vedremo al momento del bilancio della prova di quest'anno che, ricordiamolo, è l'ultimo esame di maturità prima dell'entrata in vigore della riforma Gelmini. Se ci saranno criticità, certamente non staremo a guardare».

Molti studenti dell'ultimo anno più che prepararsi a questo decisivo appuntamento, hanno dovuto concentrarsi sui test di ingresso previsti per aprile.

«Ho raccolto anch'io questa obiezione, però voglio dirle due cose. Innanzitutto non si poteva cambiare il calendario dei test per l'ingresso all'università, sarebbe stato devastante. In secondo luogo non vorrei che dietro queste lamentele ci fosse qualche paura familiare di troppo.

Non drammatizziamo, chi studia deve allenarsi a superare più esami. Altra cosa, invece, è la mia posizione sui test per l'accesso a Medicina...».

Decisamente sfavorevole, o ha cambiato idea?

«Non solo non ho cambiato idea, ma intendo andare avanti. Non considero un giusto metodo di selezione per una vita professionale così delicata, stiamo parlando dei futuri medici, quello fondato su sessanta domandine, talvolta perfino ridicole, alle quali bisogna rispondere in due ore».

Si sente sola in questa battaglia?

«Non sono un organo monocratico, ma era mio dovere mettere il problema sul tavolo. E aprire una discussione per individuare lo strumento più giusto per salvaguardare il numero programmato, ma allo stesso tempo garantire una sana e meritocratica selezione».

Intanto la sua collega di governo Beatrice Lorenzin si è messa di traverso. «Credo che sia andata oltre nelle sue valutazioni, e comunque stiamo parlando di una materia che non è nelle competenze del ministero della Salute. Ma ne discuteremo serenamente».

E il premier Matteo Renzi che cosa dice?

«Non ne abbiamo ancora parlato, ma il momento arriverà presto. E la decisione finale spetterà a lui». Cito proprio Renzi: c'è un tempo per discutere e un tempo per decidere.

Anche per i test per Medicina: quando arriverà il momento delle decisioni?

«La mia proposta sarà formalizzata prima dell'estate, con un provvedimento specifico. Come vede, i tempi sono stretti e veloci».

Immagino che lei abbia già maturato una convinzione sulla proposta da mettere sul tavolo del governo.

«Abbiamo studiato tutti i modelli in essere, e non nascondo che le mie preferenze vanno per quello francese, dove la selezione è molto rigorosa, il merito è riconosciuto, e non ci sono i test all'ingresso.

Molti rappresentanti delle categorie dei medici e dei professori universitari temono un'invasione di studenti che poi non è possibile avviare al lavoro.

«Non bisogna giocare con le parole. Ripeto: io non discuto la necessità di un numero programmato, ma bisogna rivedere in modo radicale la selezione per arrivarci. E, a proposito dei professori, posso dirle che tra qualche giorno incontrerò i vertici della Conferenza dei rettori: con loro parleremo anche dei test, e tanti sono molto favorevoli al cambiamento che propongo».

Altra obiezione: le facoltà non sono pronte sul piano organizzativo.

«Posso capire lo sforzo che servirà, ma non esageriamo. Le università sono in condizione di affrontarlo».

E l'imbuto a valle, con i numeri stretti di accesso alle scuole di specializzazione?

«È un'altra obiezione che capisco, ma deve misurarsi con la realtà. Forse a qualcuno è sfuggito che abbiamo appena portato il numero degli specializzandi da 3.300 a 5.000. Se la matematica non è un'opinione, stiamo parlando di un aumento del 50 per cento, in un momento nel quale di risorse non ne abbiamo certo tantissime».

Quanto può pesare in questa partita la sua debolezza politica?

«A che cosa si riferisce?»

Ai voti che il suo partito ha preso alle ultime elezioni europee.

«Allora le rispondo così: nulla, spero. In primo luogo siamo un piccolo partito, ma ancora determinante in questo Parlamento. E poi non credo che la forza o la debolezza di un ministro si possa misurare con i voti, quanto con la credibilità e l'efficacia della sua azioni. Noi siamo al governo per cambiare l'Italia, come ripete spesso Matteo Renzi, e non per sopravvivere nella palude dell'immobilismo».

Un altro punto centrale del cambiamento che lei vuole portare avanti riguarda la necessità di dare spazio alla valutazione e al merito degli insegnanti. Ci riuscirà?

«Ci devo riuscire. Perché la nostra scuola in tanti, troppi anni è stata mortificata con un appiattimento verso il basso. Per il momento non vengono valorizzati, ai fini della carriera e dello stipendio, né il merito, né l'impegno, né la passione degli insegnanti. Non si può fare carriera nella scuola solo per anzianità: non è giusto e non è utile a rendere efficace ed efficiente il sistema formativo».

Anche qui: quando finirà la discussione e arriveranno le decisioni?

«La mia proposta sarà sul tavolo prima dell'estate. E conterrà tutti gli elementi per una buona valutazione che non può essere solo teorica, ma deve tradursi anche in premi concreti a chi li merita».

Premi, dunque soldi: dove li troverà? «Li troveremo, perché servono. E questo governo lo ha già fatto: le ho parlato dei posti nelle scuole di specializzazione di Medicina, che certo non sono a costo a zero, e potrei dirle dei concorsi nelle scuole che abbiamo riaperto dopo 13 anni. Senza risorse, il cambiamento diventa pura teoria».

Oltre al merito e alla valutazione, bisognerà anche svecchiare scuola e università. «Le statistiche, purtroppo, parlano e sono impietose. Abbiamo scuole e università troppo vecchie dal punto di vista della media anagrafica del corpo docente: e questo è sicuramente un trend che bisogna invertire. Senza aspettarsi miracoli in un giorno, ma seguendo un percorso costante di ricambio generazionale».

Con quali strumenti?

«Per la scuola i concorsi, che serviranno appunto ad assumere giovani insegnanti. Per l'università, invece, abbiamo urgenza di investire sul turn over dei ricercatori: è da qui che deve partire il ricambio generazionale e lo svecchiamento dell'università. E mi creda, su questa linea è impegnato non solo il ministro dell'Istruzione, ma l'intero governo e la sua credibilità agli occhi degli italiani».

In più occasioni ha parlato della rivalutazione del liceo classico. In concreto che cosa significa? «Qui più che il lavoro del ministero, già molto avanzato, conta il cambio di paradigma culturale. La formazione classica è un patrimonio della civiltà occidentale, quindi anche di noi italiani: dobbiamo rafforzarla e non svalutarla».

Il contrario di quello che si è visto finora...

«Per molti anni è pensato di privilegiare il pragmatismo della conoscenza, depotenziando e svalutando la formazione classica. E invece si può essere un ottimo ingegnere e un ottimo informatico, anche grazie alla buona conoscenza del greco e del latino.

Lei mi chiedeva cose concrete: l'accordo fatto con il ministro Franceschini va in questa direzione, e mostra come Cultura e Istruzione sono due facce della stessa medaglia. Con il riconoscimento di un grande valore alla formazione classica».

Che cosa si aspetta dal decreto scuola-lavoro che avete recentemente approvato?

«Molto, anche se non ho la bacchetta magica. L'alternanza è un'opportunità per tutti, studenti e aziende, purché non sia occasionale. Non ci può essere un distacco così netto, come quello visto finora, tra la scuola e il lavoro, non esiste in alcun paese europeo. E non possiamo cadere nella trappola di finti cambiamenti. Sono stata molto esplicita anche con i Provveditori: se per gli studenti si tratta di fare una settimana nelle imprese non serve a nulla. C'è bisogno di continuità, e posso dirle che cento aziende di Federmeccanica hanno già preso contatti per accordi con altrettante scuole. E' un buon punto di partenza, in un Paese dove il tessuto produttivo è cresciuto integrandosi con i vari livelli di formazione».

Ha calcolato i soliti intralci burocratici in agguato?

«Ho dato un messaggio chiaro e forte: massima semplificazione. Non ci devono essere intralci tali da scoraggiare le scuole a impegnarsi in questo percorso e le imprese a spalancare le porte agli studenti. Stiamo parlando di un pezzo che diventa essenziale nel percorso formativo».


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