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Genitori contro prof, la scuola che fa male

La preside aggredita a Milano è solo l’ultimo caso: così si è rotta l’alleanza in nome dei figli

13/05/2016
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

A Milano una preside presa a pugni nell’atrio della scuola da un adulto poi fuggito. È l’ultimo di un lungo elenco di episodi di violenza nelle scuole in tutta Italia: Catania, Ostia, Macerata, Bologna, Enna. Scazzottate, insulti, minacce. Perché genitori e insegnanti hanno rotto quell’alleanza che è alla base dello sforzo di far crescere i ragazzi?

«La colpa non è dei maestri, che coi pazzi devono fare i pazzi. Infatti se non dicessero ciò che piace ai ragazzi, resterebbero soli nelle scuole... E allora? Degni di rimprovero sono i genitori che non esigono per i loro figli una severa disciplina dalla quale possano trarre giovamento... Essi devono abituare gradualmente i giovani alle fatiche, lasciare che si imbevano di letture serie e che conformino gli animi ai precetti della sapienza... Invece i fanciulli nelle scuole giocano». Questa famosa citazione, scelta di recente dal prof-scrittore Alessandro D’Avenia per parlare dello stato dei rapporti genitori-insegnanti-ragazzi nella scuola di oggi, non è altro che un’invettiva che si trova nel Satyricon di Petronio. Voleva descrivere la decadenza dell’educazione in una società decadente.

Ma è ottima per riflettere anche oggi di fronte al lungo elenco degli episodi di violenza — soprattutto tra adulti — che si ripetono nelle scuole in tutta Italia: Catania, Ostia, Macerata, Bologna, Enna, e sono solo i casi finiti con denunce e intervento dei medici e dei magistrati. Scazzottate, insulti, minacce, episodi rabbiosi che finiscono per essere reati.

Non solo, quello che è davanti agli occhi di chi va a scuola è che sempre più spesso genitori e insegnanti hanno rotto quell’alleanza che è alla base dello sforzo di far crescere i ragazzi, sui quali troppe volte si riverberano gli effetti di questa crisi. La questione non è soltanto italiana: in Inghilterra la principale causa per la quale gli insegnanti lasciano la professione è lo stress dello stare in classe, affrontare ragazzi e genitori sentendosi oggetto continuo di giudizio e pre-giudizio. In Francia lo scontro professori-genitori giova ai bilanci delle assicurazioni: un insegnante su due ha sottoscritto una polizza in caso di denuncia.

Che cosa è successo? La professoressa Bruna Grasselli, dell’Università RomaTre, nel suo saggio Vita di relazione con alunni, insegnanti e genitori lo chiama il «disordine della comunicazione» che rende insopportabile «la fatica emotiva dell’insegnare». Colpa dei genitori che rinunciano alla funzione educativa, come sostengono nelle scuole? Colpa degli insegnanti che non sanno fare il proprio mestiere, non sono preparati e non collaborano, come rispondono i genitori? Nel suo libro La famiglia adolescente lo psicanalista Massimo Ammanniti ragiona su come è cambiata la dinamica nelle famiglie: «Ci sono meno figli, i genitori investono molto su di loro in un atteggiamento narcisistico che crea anche complicità genitore e figlio per arrivare al successo. Le parole impegno, responsabilità, lavoro passano in secondo piano, i genitori “hanno bisogno” dei risultati dei figli e non sono disposti ad affrontare il conflitto. Ecco che, in questo quadro, la colpa è sempre degli insegnanti che non riescono, secondo i genitori, a fare abbastanza per i loro tesori: un eventuale fallimento non è del figlio ma del suo professore».

Gestire la convivenza in classe e fuori resta la più grande paura degli insegnanti. Secondo uno studio della Fondazione Agnelli, che qualche anno fa ha interrogato 15 mila insegnanti appena assunti, la più grande ansia diffusa tra i prof è quella di come gestire la classe e la comunicazione con le famiglie. Meno di un insegnante su due si sente in grado di interagire con i genitori come si dovrebbe e vorrebbe, pochi di più si sentono in grado di lavorare bene in équipe con i colleghi. E più o meno la stessa percentuale di insegnanti si sente impreparata a gestire le nuove tecnologie, segnando così non solo un divario emotivo ma anche uno generazionale con i propri studenti, in un sistema scolastico — il nostro — che tende a formare insegnanti sempre uguali a se stessi.

«Se i genitori non sono pronti ad accettare gli insuccessi dei propri figli — spiega ancora Ammanniti —, è vero anche che gli insegnanti si trovano di fronte a ragazzi più rapidi di loro nell’uso delle tecnologie, in una scuola ancora organizzata come lo era negli anni Cinquanta sia fisicamente, penso alla disposizione della classe, sia come modalità di insegnamento. Al di là delle riforme, sarebbe proprio questa una delle priorità da affrontare: rompere le vecchie rigidità e aggiornare le modalità di insegnamento, soprattutto per i ragazzi adolescenti».


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